Tra cibi del cuore, antiche usanze tramandate da generazioni e popoli diversi, e un occhio verso le nuove abitudini alimentari, l’antropologo Marino Niola racconta la “sua” Pasqua. Quella fatta di ricordi e sapori
del passato ma anche di progetti per cittadini e turisti. Da oggi e per le prossime settimane Niola sarà il supervisore della rassegna “Vedi Napoli e poi Mangia”, per far conoscere l’identità più intima di Napoli, a partire proprio dalla cultura gastronomica. Una iniziativa unica e originale, un mese di iniziative al termine delle quali avremo composto un vero e proprio menu della tradizione napoletana di Pasqua
e non solo. Di cosa si tratta? «Un format fatto di racconto dei piatti, degustazioni e intrattenimento musicale, promosso dall’assessorato al Turismo del Comune di Napoli guidato da Teresa Armato.
Un “viaggio del gusto” con chef ed esperti come Luciano Pignataro ed Elisabetta Moro per scoprire diverse tipologie di cibo in diverse location: dall’intimità delle
chiese agli spazi aperti come le Terme di Agnano per
valorizzare una città la cui vocazione internazionale si
avverte già nella sua storia gastronomica».
Qualche esempio in quello
che mangiamo oggi?
«Basti pensare a nomi di
ricette e pietanze come il ragù
e il gattò che derivano rispettivamente
dal francese
ragoût e gateau. Il babà viene
dal fantastico Alì Babà,
un piatto napoletanissimo
come la scapece proviene
dallo spagnolo escabeche
che a sua volta deriva
dall’arabo sikbag, “salsa
all’aceto”. La cucina napoletana
è un patrimonio di gastronomia
aristocratica e
pietanze di strada, grandi ricettari
ed eccellenze popolari
capace di regalare al mondo
cibi di culto conosciuti
ovunque».
Come è cambiato il consumo