Se invecchiare protegge dai tumori, ma il prezzo da pagare sono le malattie neurodegenerative, la ‘colpa’ e’ di un gruppo di geni registi del deterioramento delle cellule e molto antichi, tanto da essere comuni alle specie piu’
lontane sulla scala evolutiva, come i pesci. E’ quanto emerge dalla ricerca pubblicato sulla rivista Nature Communications e condotta dal consorzio JenAge, composto da universita’ e centri di ricerca. L’Italia ha partecipato allo studio con la Scuola Normale di Pisa. La scoperta aiuta a capire come mai l’incidenza dei tumori aumenta con l’eta’, ma si riduce negli ultraottantenni e che “il prezzo che si paga per questo ‘effetto protettivo’ e’ un ulteriore aumento nell’incidenza delle malattie neurodegenerative dopo gli 80 anni”.  Finanziato con 5 milioni di euro dal governo tedesco, lo studio ha analizzato 500 campioni di tessuti di specie anche molto lontane, come pesci e uomo, individuando un gruppo comune di geni associato ai processi del normale deterioramento cellulare. Un risultato, spiega Alessandro Cellerino, coautore della ricerca, “particolarmente sorprendente, se si considera che le linee evolutive che hanno portato ai pesci e all’uomo si sono separate oltre 400 milioni di anni fa e che l’aspettativa
di vita delle specie che abbiamo analizzato varia dai pochi mesi per il pesce Nothobranchius furzeri a oltre un secolo per l’uomo”.
Il secondo aspetto “sorprendente” e’ che una proporzione significativa dei geni che vengono attivati in maniera
conservata durante l’invecchiamento e’ “funzionante” anche nelle tipiche malattie degenerative associate all’invecchiamento (cardiovascolari, metaboliche e neurodegenerative) e gli stessi geni coincidono parzialmente anche con geni che, se attivati, proteggono dai tumori. Questo risultato e’ confermato anche da un’analisi complementare che ha dimostrato come – a livello statistico- varianti geniche che predispongono a malattie