Non solo coltelli, ma pistole scacciacani che vengono modificate, fino a diventare letali. Armi pericolose sempre più spesso, con troppa facilità, in mano a giovanissimi. Che fare? “Siamo in guerra. E in contesti del genere occorre schierare l’esercito. Purtroppo, a malincuore lo dico, la città va blindata con forze dell’ordine ed esercito e non solo fino alle 24.00 perché dopo quell’ora la strada resta alla mercè di delinquenti. E poi occorrono telecamere ovunque perché vi sono diritti primari da tutelare rispetto a quello che può essere il diritto alla privacy”. A sostenerlo, Emilia Galante Sorrentino, sostituto procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Napoli, dopo l’ultimo omicidio di un giovanissimo, quello di Arcangelo Correra, il terzo tra Napoli e provincia in soli 17 giorni. “Siamo di fronte a due situazioni diverse e parallele”, spiega il magistrato nell’analizzare il fenomeno “Da un lato abbiamo una camorra 2.0 che arma anche i minorenni, si avvale di loro, come per lo spaccio, anche per sparare, confidando in una giustizia a maglie più larghe, sul fatto che hanno una maggiore dimestichezza del territorio. Un nuova modalità di agire della camorra”. “Dall’altro vi è un problema culturale: è una mentalità camorristica che si sta diffondendo tra i giovani nel senso che è un modello dal quale loro restano affascinati perchè li porta a sentirsi forti, branco e ad avere il controllo del territorio.
Questo in virtù anche di un malinteso senso di appartenenza a un
gruppo”.
Un esempio? La rissa tra due gruppi di studenti di due licei
poche settimane fa nella zona di Chiaia. “Episodi che capitavano
anche un tempo, ma con una violenza non grave fino a questo punto
perché ora c’è un problema culturale diverso, c’è un cattivo modo
di intendere l’appartenenza a un gruppo. E in questo noi dobbiamo
farci sentire anche dai presidi, dagli educatori. E’ un problema
culturale: si sta diffondendo una mentalità camorristica. Un modo
camorristico di risolvere i conflitti, anche i più banali come la
scarpa pestata, la fidanzata che sta con un altro”.
C’è poi il problema delle armi che girano. “Siamo passati nel
giro di pochi anni dalle testate in bocca, ai coltelli, alle
pistole, il tutto aggravato spesso dall’abuso di droghe. C’è una
facilità enorme di procurarsi un’arma, con pochi soldi i ragazzi
riescono a comprarle dai social o su internet. Anche perché,
sempre con pochi soldi, riescono a farsi modificare da
fabbrichette balorde armi che nascono come pistole a salve e che
diventano idonee allo sparo”.
Uno scenario ‘da guerra’ che, secondo il pm, come tale
richiede misure forti: “blindare la città e occhi elettronici
ovunque. Ma servono anche modelli educativi alternativi” spiega.
“C’è un problema di politica dell’investimento nella cultura,
nelle scuole, nella formazione e nel lavoro. Anche per quanto
riguarda i ragazzi che sono già fuoriusciti dal circuito penale,
noi facciamo tanti programmi per loro. E li fa lo stesso Ipm di
Nisida. Loro, finchè sono ‘protetti’ da Nisida e stanno nelle
Comunità sembra che percepiscano la possibilità di intraprendere
una strada di legalità, ma quando escono cosa trovano? Poco o
nulla. Molto è rimesso al volontariato. Se invece avessero
un’alternativa a cominciare dal lavoro, la vita cambierebbe.
Diversamente, il compagno della vecchia comitiva che viene a
chiamarti col motorino ricettato e mette due bustine in mano per
spacciare, ti fanno gola perché non hai alternativa. Quindi ci
ricascano. Allora, l’impegno, la fatica e i progetti che facciamo
sono vanificati. Si perdono in una bolla di sapone, funzionano
finchè i ragazzi sono sotto controllo ma quando la magia di
Nisida o della Comunità finisce per strada o in famiglia, se il
contesto socio-familiare non è cambiato si ricade quasi
automaticamente nella spirale della violenza”.