Totò, Sophia Loren, Silvana Mangano, Paolo Stoppa, Eduardo De Filippo, Tina Pica, e lo stesso Vittorio De Sica, tutti in stato di grazia: è il mondo vintage de L’Oro di Napoli, uno dei più grandi capolavori del cinema popolare italiano, il film di Vittorio De Sica, capace di farci ancora sussultare. In occasione dei 50 anni dalla scomparsa del grande regista e a
70 dall’uscita del film è la preapertura della 81/a Mostra del Cinema di Venezia. Nella nuova versione del film restaurata in 4K a cura di Cinecittà per iniziativa della Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, a partire dal negativo scena 35mm e dal negativo colonne ottiche 35mm mono, sotto la supervisione artistica di Andrea De Sica, la pellicola avrà la sua prima
mondiale martedì 27 agosto alle 20.30 nella Sala Darsena del Lido. Sarà anche un modo per rendere omaggio a Sophia Loren che aveva 20 anni all’epoca del film e che il 20 settembre compirà 90 anni. L’oro di Napoli, traeva il soggetto dall’omonima raccolta di racconti di Giuseppe Marotta, nella riduzione cinematografica di Cesare Zavattini che lo sceneggiava con lo scrittore e lo stesso De Sica. Prodotto da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, il film è
suddiviso in 6 episodi, dove si raccontano alcune delle tante – e
universali – facce di Napoli attraverso i capitoli: Il guappo,
Pizze a credito, Il funeralino, I giocatori, Teresa e Il
professore. A interpretarli, un cast con alcuni dei più grandi
artisti della storia dello spettacolo italiano, tutti
semplicemente in stato di grazia.
Un teatro di Napoli che diventa Theatrum mundi, grazie a una
capacità raffinata nel tempo e sublime di alternare toni
drammaturgici nella stessa sequenza, dalla commedia al dramma,
dal farsesco all’intimista, alla cronaca sociale. Una capacità di
scrittura su testo e su scena, che si realizza in una
composizione registica straordinaria, che per ogni episodio trova
una chiave espressiva particolare.
Con due delle più grandi dive italiane di sempre, il nostro più
grande talento comico, il più grande drammaturgo in scena, un
cast artistico e tecnico di primissimo ordine orchestrato dal
regista, il film si presenta con una ricchezza degna del suo
titolo. De Sica lo realizzò in un passaggio particolare della
propria carriera, di riflessione sull’esplosione, i successi e le
incomprensioni del Neorealismo. Veniva dal quartetto di titoli
che aveva e avrebbe sconvolto l’estetica e l’etica
cinematografica mondiale – Sciuscià, Ladri di biciclette,
Miracolo a Milano e Umberto D. – e il tentativo di produzione
‘americana’ di Stazione Termini. Pur nella struttura a episodi,
L’oro di Napoli si presenta ancora oggi con una compattezza di
ispirazione e stile sorprendente, frutto in primis dell’arte del
suo regista, che riesce dal grande libro di Marotta a restituire
lo spirito di un luogo senza cadere per un metro di pellicola nel
folklore e nel pittoresco, ma restituendo a tutte le figure, dai
protagonisti ai comprimari ai fondali della città, un carattere
che non è solo di quella città. Una speranza di ricostruzione e
salvezza, di sopravvivenza e vita, che nell’Italia del ’54 era
di tutto un paese. Ancora oggi, la commozione e il riso che
scatena L’oro di Napoli possono ben rappresentare non solo un
carattere specifico del cinema italiano di sempre, ma di uno
spirito italiano.
Presentato in concorso a Cannes nel 1955, il film venne premiato
ai Nastri d’argento per la miglior attrice a Silvana Mangano e
per il miglior attore a Paolo Stoppa, L’oro di Napoli è stato
selezionato fra i 100 film italiani da salvare.
Ha ricordato Martin Scorsese nel suo My Voyage to Italy: “L’oro
di Napoli a New York era trasmesso a quei tempi in televisione, e
tutti nel quartiere lo rivedevano ogni volta e lo amavano molto.
Incorpora qualcosa che apprezzo molto nel cinema italiano: il
modo in cui si muove senza sforzo tra la commedia e la tragedia”.