E’ Scannasurice il primo vero lavoro di Enzo Moscato, scomparso ieri sera a 75 anni dopo una lunga malattia, viscerale controcanto realistico e surreale tra uomini e topi, esseri sin troppo simili, della sua Napoli dei bassifonddi (bassi e fondaci, come chiosava Fabrizia Ramondino), che quando riprende una decina di anni dopo diventa Scanna-play-suric’, in un collage gioco e recita tra vecchio testo e nuove parti in un’alchimia teatrale dolorosa e irridente della sua Napoli, che e’ emblematica e universale, luogo dell’anima e esistenziale realta’ , sentimento e opposizione a un disagio in cui ognuno puo’ ritrovarsi. Poi arrivo’ Rasoi, con la regia di Mario Martone e, tra gli altri, Toni Servillo e Licia Maglietta, lo spettacolo che nel 1990 lancio’ davvero il nome di Moscato, che un posto fuori di Napoli se lo era gia’ conquistato con Pie’ ce Noire (Premio Riccione-Ater 1985) con la sua folla di personaggi femminili sessualmente incerti, facendo conoscere la sua forza e qualita’ di autore, oltre che poi di interprete delle sue opere. Moscato, della Napoli teatrale post Eduardo, assieme al
compianto amico Annibale Ruccello, e’ il nome piu’ importante e
frutto di tutto un tessuto che e’ molto poco eduardiano (come e’
invece Manlio Santanelli) e semmai si lega al mondo poetico e
popolare di Viviani e si allarga da Patroni Griffi a Pasolini,
da Artaud a Genet, perche’ leggerlo solo come napoletano sarebbe
scorretto e limitativo.
Non c’e’ colore ne’ tantomeno retorica partenopea nella Napoli
infetta che Moscato incide con i suoi rasoi mettendone in scena
le miserie e l’anima: e’ teatro in ogni suo aspetto, perche’ e’
parola, e’ linguaggio e corpo da cui scaturiscono naturalmente
situazioni e sentimenti.
”Chisto e’ ‘o paese dove tutte ‘e parole so durci e amare”,
dove si soffre ma ci si riconosce e ritrova.
Nato il 20 aprile 1948 nei Quartieri Spagnoli, sembra non si sia
mai mosso da li’ , scavandone la realta’ umana, guappi, puttane,
femminielli, scugnizzi, disoccupati, bambinelli sino a coglierne
il nucleo universale e esistenziale, la santita’ e la perdizione,
la vitalita’ dolorosa, ma non dolente col suo disperato bisogno
d’amore, come in ‘Festa al celebre e nubile santuario’ o ‘Occhi
gettati’ col loro delirio sorridente e una caparbieta’ nel
portare in scena tutto, nel farne un continuo rito teatrale.
”Mi sono sempre ispirato alle storie terribili che raccontavano
le donne dei Quartieri – raccontava, con la coscienza di chi si
era a suo tempo laureato in filosofia con una tesi psicanalitica
sui movimenti di liberazione sessuale in quegli anni Settanta –
con un’oralita’ oggi scomparsa assieme alla la forza del suo
insegnamento derivato dalle voci, i toni, le mani, i volti e i
corpi”. E poi magari aggiungeva che ”oggi viviamo una crisi
antropologica del sentire, non c’e’ piu’ alcun mistero arcano”,
che invece lui evocava usando sempre una ”parola volutamente
liturgica, rituale”, come diceva lui stesso, una sua lingua dal
fascino barocco, ricca e musicale, reale e realistica, impasto
poetico e sempre assolutamente musicale, ricco di chiaroscuri in
cui si fondono col suo napoletano d’invenzione, tra il popolare
e l’alto della letteratura partenopea del passato, a cominciare
dal Basile, oltre l’italiano anche il latino o il francese e
l’inglese.
Esemplare allora il suo Raccogliere & Bruciare, una sua
personale Spoon River, rievocazioni di morti, prostitute,
ragazze violentate, giovani persi, vittime e eroi sino a Shelley
e Byron, personaggi reali e personaggi simbolici afflitti o
furibondi a confronto col proprio essere e una vita che si
vorrebbe scoprire se avrebbe potuto essere diversa, con uno
scarto tra realta’ e mito che e’ sempre nel lavoro di Moscato, che
qui recupera il culto napoletano per i morti in cui il qua e
l’aldila’ e’ come non avessero precisi confini: ”l’immortalita’
non e’ questione di tempo, ma di ignoto”, che erano i temi anche
di Compleanno, dedicato all’amico scomparso Ruccello.
Attore certo, di teatro ma anche di cinema, e cantante (4 i suoi
Cd), naturalmente autore di un cinquantina di testi, che sono
nel complesso una denuncia e riflettono il suo impegno
intellettuale che si e’ espresso anche attivamente nella
direzione artistica del Mercadante – Stabile di Napoli
(2003-2006), del Festival di Benevento Citta’ Spettacolo
(2007-2009), e riconosciuto da numerosi premi, tra cui il
Riccione/Ater 1985, l’Idi 1988, l’Ubu 1988 e 1994, della Critica
1991, il Napoli Cultura 2013 e ancora un Ubu alla Carriera nel
2018.
Mario Martone, che con lui ha diviso la fondazione dei Teatri
Uniti e l’esperienza al cinema, invita a ricordarlo anche come
poeta, “il piu’ straordinario poeta che Napoli abbia espresso
negli ultimi decenni”. Il sindaco Gaetano Manfredi lo ha
definito “orgoglio per la cultura della citta’ ”
I funerali saranno domani a Napoli alla 15 nella chiesa di San
Ferdinando.