Molte malattie rare che si manifestano nei bambini hanno sintomi neurologici e il neuropsichiatra infantile ha un ruolo importantissimo, “ma l’attenzione delle istituzioni è focalizzata solo sulla genetica e sui farmaci”, come si evidenzia anche nella composizione del nuovo Tavolo di Lavoro che dovrà portare all’approvazione del secondo Piano Nazionale delle Malattie Rare. Lo denuncia la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’ Adolescenza (Sinpia). La rete Orphanet Italia stima che, nel Paese, i malati rari siano 2 milioni e l’80% siano bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Rare sono quindi le singole malattie, ma complessivamente sono tantissimi coloro che ne sono affetti. Moltissimo è stato fatto per migliorare la tempestività della diagnosi, sviluppare la ricerca genetica e sui farmaci orfani. Ma diagnosi genetica e farmaci seppur indispensabili per molti sono solo un importante tassello di un percorso quotidiano assai più complesso. “Il neuropsichiatra infantile è in questi casi il primo contatto specialistico per la famiglia, quando ancora i disturbi del bambino possono essere non evocativi di una particolare malattia (ritardo psicomotorio, epilessia, difficoltà di linguaggio)”, spiega Renzo Guerrini, vicepresidente Sinpia. “Invece – osserva Vincenzo Leuzzi, coordinatore della sezione di Neurologia della società scientifica – molto poco viene fatto per garantire la presa in carico e la riabilitazione di cui hanno bisogno questi bambini e per rendere i Lea (Livelli essenziali di assistenza) davvero esigibili”. “L’attivazione nel gennaio 2017 di un tavolo di lavoro tra Ministero della Salute e Regioni, che in pochi mesi ha prodotto un importante documento di linee di indirizzo, aveva fatto sperare in un cambio di rotta, ma dopo mesi di attesa e di raccordo tra le Regioni, il documento è stato bloccato in conferenza Stato-Regioni il 18 febbraio scorso, per dettagli evidenziati dalla Regione Veneto – conclude Antonella Costantino, presidente Sinpia -. Nel frattempo, bambini e famiglie continuano a non ricevere parti essenziali dell’ assistenza sanitaria di cui hanno bisogno”.