Vicenda Siani un monito per Ordine e sindacato dei giornalisti
“Il giornalista è colui che distingue il vero dal falso… e pubblica il falso”. Questa cattiveria è di Mark Twain, scrittore, umorista e docente statunitense. Il giornalista un soggetto non affidabile, per Twain, che pur conoscendo bene il proprio mestiere alla fine pubblica quello che gli conviene, in base al tornaconto personale. Basta ricordare i tanti cronisti uccisi perché avevano ben distinto “il vero dal falso” e pubblicato “il vero” per capire quanto sia, in generale, bugiardo ed ingiusto l’aforisma dello scrittore americano. Bisogna però avere l’obiettività d’affermare che non tutto il mondo dell’informazione è disponibile “ogni giorno a dare un dispiacere a qualcuno”, secondo la concezione di Benedetto Croce.
Un’occasione per confrontarsi sulle tematiche delicate relative all’”informare” è venuta alla presentazione del libro di Vincenzo Arena: “L’informazione è Cosa Nostra”, nella sede della Federazione unitaria del sindacato scrittori a Roma, alla presenza del presidente e del segretario di “Ossigeno per l’Informazione”. A fine riunione, come spesso capita, ci si scambiano idee, storie personali, considerazioni al di là dei formalismi e delle liturgie che l’incontro pubblico prescrive. Chi scrive ha raccontato la sua amara esperienza vissuta nella vicenda di Giancarlo Siani, il corrispondente del Mattino di Napoli freddato a soli 26 anni per i suoi servizi da Torre Annunziata. Il dramma personale di essere stato, al tempo stesso, amico di Giancarlo e aver avuto Giorgio Rubolino, il suo presunto assassino, anni prima tra i “lupetti” del Gruppo Scout di cui era il capo. Rubolino “senza ombra di dubbio inchiodato come assassino dal Procuratore Generale di Napoli Aldo Vessia; scagionato con formula piena, dopo 439 giorni di carcere, dal giudice istruttore Guglielmo Palmeri”. Ma, nella vicenda in parola, l’amarezza più grande fu lo scetticismo di tanti colleghi di Siani che pensavano che quell’omicidio fosse legato a “fatti di donne e omosessualità”, non ritenendo che potesse essere stato causato “semplicemente” dal “lavoro” di Siani. Spesso, purtroppo, sono proprio i giornalisti i peggiori nemici della loro professione.
Nessuno meglio di chi conosce l’ambiente può provare a fare pulizia. A denunciare i collusi, i corrotti, i malavitosi. Ce ne sono nella professione del giornalista. Per onorare i tanti “eroi loro malgrado” del giornalismo italiano bisogna provare a fare azioni inequivocabili di pulizia. Ad esempio divulgare, magari tra l’altro sul sito di “Ossigeno per l’Informazione”, i vari giornalisti condannati in via definitiva perché, per un verso o per un altro, hanno tradito se stessi e i loro lettori. Pubblicizzare altresì i vari procedimenti disciplinari in cui incorrono i giornalisti, ciò per evitare che l’opinione pubblica continui a ritenere che “la Casta non può che difendere la Casta”.
L’elenco delle cose che non vanno nel mondo dell’informazione in Italia è lungo. Si va dall’insufficiente pluralismo ai conflitti d’interesse, al servizio pubblico alle dipendenze dei partiti. Insomma, un bel pasticcio che la “politica” dovrebbe affrontare senza tentennamenti – e soprattutto senza partigianerie – se è vero che l’informazione è la base della democrazia. Ma un ruolo primario su queste tematiche non possono non svolgerlo le organizzazioni di rappresentanza della categoria, Ordine e Sindacato unitario dei giornalisti, troppo spesso impegnate a litigare tra di loro. Il mondo dell’informazione del nostro paese appare – salvo rari casi – più come un cane, non da guardia, inebetito che si morde la coda, abbaia forte eppoi riacchiappa l’estremità per rimordersela, sempre però rimanendo in una posizione di comodo stallo.
Le scuse per tirare a campare e non fare pulizia nel proprio interno sono tante. Se si vogliono vincere però battaglie decisive bisogna partire dal piccolo, dai comportamenti individuali. E, soprattutto, dall’unità non di facciata della categoria.
A cura di Elia Fiorillo