Luigino Di Maio era super felice quando si è affacciato dal balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il varo del Documento di economia e finanza “che fa partire la Manovra del popolo”. In piazza Colonna ad assecondare il vice presidente del Consiglio non c’erano folle esultanti, il popolo grato, ma solo un centinaio di parlamentari grillini convocati per l’occasione. Da quel balcone aveva gioito anche Giovanni Spadolini, primo esponente laico del Consiglio dei ministri. Ma i motivi non erano politici. Spadolini, con un tricolore in mano, rompendo un tabù, salutava la vittoria della nazionale di Enzo Bearzot ai mondiali del 1982. Romano Prodi, nel 2006, nell’accogliere i vincitori del mondiale di calcio in Germania, non si sporse dal famoso balcone ma si limitò a salutare con la mano dalla finestra i tanti tifosi tripudianti in piazza. Altri tempi. Altre storie.
Per Giggino “l’accordo” estorto a Giovanni Tria, responsabile dell’Economia, che prevede un deficit del 2,4 per cento, era una priorità assoluta, specialmente per se stesso. Dopo che il suo amico-avversario Matteo Salvini continua a fare “bingo” nei sondaggi elettorali per le prossime elezioni europee, con le prediche di tutti i tipi sugli emigranti, lui è rimasto indietro nelle previsioni di voto. Il malumore nei grillini sul “fiduciario” Di Maio sono sempre più palesi. Ritardare ancora la “Manovra del popolo” – “con il reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza, superamento della legge Fornero, i soldi per i truffati dalle banche” – per il ministro dello Sviluppo economico e del lavoro non sarebbe stato più possibile. I “suoi” non l’avrebbero più tollerato, ma anche “il popolo sovrano” si sarebbe sentito preso in giro. L’attesa per quel “reddito” è molto forte in certe realtà territoriali. Quando alle ultime elezioni ci fu la vittoria dei grillini alcuni elettori ingenui del Sud si rivolsero ai Caf e ai Patronati per richiedere, seduta stante, il tanto strombazzato reddito di cittadinanza.
Giovanni Tria ha provato in tutti i modi a ipotizzare un deficit al di sotto del 2,4 per cento. Non c’è riuscito. I due vice presidenti del Consiglio non glielo hanno consentito. Non potevano fare marcia indietro sulle loro promesse elettorali. Probabilmente Tria ha pensato di dimettersi dall’incarico, ma il suo senso di responsabilità e le probabili pressioni del Quirinale gli hanno fatto cambiare idea. Le dimissioni del ministro “moderato”, vero calmante per l’Europa, al di là di quello che pensano Salvini e Di Maio, sarebbero state un vero disastro con lo spread, con molta probabilità, balzato alle stelle. Sembra che le rassicurazioni fatte da Tria – a mezzo intervista stampa -, sia alle preoccupazioni espresse dal Capo dello Stato che a quelle di diversi economisti per la crescita del debito pubblico, siano più difese d’ufficio che convinzioni profonde del ministro delle Finanze. Insomma, un passo obbligato di Tria, che pur giustificando la manovra che non lo convince, pensa di poter manovrare il timone della nostra economia lontano da situazioni pericolose. Ci spera per lo meno. Da competente qual’e’ sa bene che i mercati, al di là di quello che va sostenendo Di Maio, non hanno alcuna intenzione di fare dispetti al nostro Paese, giocando sullo spread. Sono molto più logici di certi politici nostrani. Valutano con attenzione le possibilità e le potenzialità delle manovre economiche e le appoggiano o le bocciano secondo gli interessi economici sovrani.
È difficile credere che Luigino queste semplici regole non le conosca, ma deve fare la vittima nell’eterna campagna elettorale che lo vede contrapposto al Matteo padano. Quest’ultimo ha portato a casa un gran bel risultato, l’adesione di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, alla Lega. Boccia, davanti all’assemblea dell’associazione di Vicenza, a Breganze, ha affermato di credere fortemente nella Lega perché “è una componente importante, qui non si tratta di regionalita’ ma di risposte vere ai cittadini”. Boccia ha inoltre sostenuto che Confindustria “ha grandi aspettative nei confronti della Lega. C’è un rapporto storico di molti nostri imprenditori con i governatori della Lega in Veneto, in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia”. Non tutti gli associati di Confindustria condividono il pensiero del presidente, ma come non saltare sul “carro del vincitore” in particolare al nord “industriale”?
No, non è sfuggita a Giggino l’adesione degli industriali al carro di Matteo Salvini. Stavolta non se la può prendere con i soliti bugiardi giornalisti.
di Elia Fiorillo