“… E m’aritontoniva de bucie”. Un po’ d’anni fa Gabriella Ferri e Nino Manfredi avevano nel loro repertorio di canzoni in romanesco anche “Tanto pe cantà”. Una canzonetta che si concludeva con il rintontimento di bugie praticato da un primo amore. Una storia vecchia come il mondo.
Se proviamo a sostituire nel motivo “l’amore” con “la politica”, con gli uomini politici che in questi giorni si preparano ad affrontare le prossime elezioni per il rinnovo di Camera e Senato, il senso non cambia. “De bucie” se ne possono contare diverse. O meglio, certe dichiarazioni sembrano genuine, dettate dal sacro fuoco della passione politica, ma avvolgendo il film di ricordi c’è qualche discrasia, che induce a pensar male. “A pensar male si fa peccato – sosteneva Giulio Andreotti – ma ci si azzecca sempre”. Insomma, le posizioni perentorie potrebbero diventare “bucie”.
Prendiamo, ad esempio, l’ex Cavaliere Silvio Berlusconi. Sembra categorico, tassativo quando afferma che non governerà mai con il Pd. Certo, non può fare diversamente se vuol far vincere la sua coalizione con Salvini e Meloni. E chi a destra gli darebbe voti se affermasse, tenendo anche in conto la possibilità che il Rosatellum 0.2 diventi la nuova legge elettorale, che forse dopo le elezioni potrebbe “inciuciare” con il Matteo gigliato? Già la destra di lui non si fida. Un annuncio del genere lo metterebbe fuori gioco. Ma creerebbe anche problemi alla Lega e a Fratelli d’Italia che, in verità, farebbero volentieri a meno di un centrista-manovriero come Silvio, ma se vogliono pensare di occupare da inquilini Palazzo Chigi non possono fare a meno di credere “fermamente” alle sue posizioni. E dichiarano che mai ci potranno essere intese con il Pd dell’ex sindaco di Firenze. “Bucie”?
E andiamo sul fronte opposto, al Teatro Eliseo a Roma dove si è celebrato il decennale della fondazione del Partito democratico, nato il 14 ottobre 2017 dalla fusione di Ds, Margherita e componenti minori laiche, socialiste e ambientaliste. Non è tutto oro quello che luce. Romano Prodi, pare che per “sciatteria”, leggi errore, non sia stato invitato. Ma come, il presidente del “miglior governo della storia repubblicana”, secondo il primo segretario del Pd, Valter Veltroni, appunto il Professore Romano Prodi, è stato dimenticato? E se fosse stato veramente così, un malinteso, Matteo Renzi nel suo intervento non lo avrebbe esaltato, non si sarebbe “stracciato le vesti” per recuperare lo sbaglio? Certo avrebbe invitato il pubblico dell’Eliseo ad una “standing ovation” per l’amico Romano. Niente di tutto questo è avvenuto. Per Rosy Bindi, che nel 2007 arrivò seconda alle primarie dopo Veltroni, è tutto chiaro “le assenze dimostrano la volontà di recidere”, perché “il Rosatellum riduce il Pd a stampella di Berlusconi…”. Insomma, la sciatteria o dimenticanza, che dir si voglia, non sarebbe altro che un’altra “bucia”.
Sempre per il segretario del Pd se il Rosatellum 2.0 dovesse passare: “Nei collegi sarà un corpo a corpo con il centrodestra populista”. Vero, ma poi che avverrà dopo le elezioni quando nessun partito raggiungerà la maggioranza per governare? La governabilità del Paese prima di tutto e, quindi, accordi anche d’unità nazionale, leggi centro-sinistra al potere. Niente di male se le cose però s’ipotizzassero – e soprattutto si dichiarassero – prima.
Alla Festa di Pontida del 2009 Matteo Salvini canta in coro: “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Poi, nel 2013, al Congresso dei Giovani Padani, il Matteo leghista non usa mezzi termini nel commentare la notizia di previsti aiuti finanziari ai giovani meridionali: “Ci siamo rotti i coglioni dei giovani del Mezzogiorno, che vadano a fanculo i giovani del Mezzogiorno! Al Sud non fanno un emerito cazzo dalla mattina alla sera”. Poi ci ripensa: “Nord e Sud uniti nella lotta”, quindi che cominci la battaglia di liberalizzazione della Lega, alla Garibaldi, dell’Italia meridionale. E i referendum del 22 ottobre prossimo per dare più autonomia e soldi a Veneto e Lombardia? Dove stanno le “bucie”.
Per concludere, la “politica”, “i politici” provino ad evitare, “Tanto pe cantà” – o meglio “Tanto pe campà”- , che l’elettore affermi “…e m’aritontoniva de bucie”, a tutto vantaggio dell’antipolitica. La carta vincente con l’elettorato è il parlar chiaro, senza sotterfugi o arzigogolamenti, anche quando ci sono argomenti scomodi, difficili da far digerire.
Insomma, niente “bucie, tanto pe cantà, ovvero pe campà”.
A cura di Elia Fiorillo