A cura di Italo Santangelo
Da quando è entrata a far parte del patrimonio culturale immateriale dell’umanità, la Dieta mediterranea è diventata un tema generalista, forse un po’ troppo abusato a sproposito. E’ bene chiarire che la dieta mediterranea, come riconosciuta dall’UNESCO, rappresenta non solo un modello di alimentazione, ma uno stile di vita, una forma di promozione dell’interazione sociale, realizzata attraverso consuetudini, riti sociali ed altre forme di cultura immateriale.
Essa non va considerata come un mero valore nutrizionale, come spesso leggiamo sui media, in cui pseudoesperti si cimentano in esercizi e tabelle improbabili, con tanto di punteggi calorici e menu vegani. Essa è un’enciclopedia di valori del nostro vivere quotidiano, fatto di convivialità, tradizione, solidarietà, identità. Che è appunto il patrimonio dei valori dei popoli del Mediterraneo.
Trovo particolarmente poetico e convincente una definizione sociologica e antropologica che compare in un testo sulla DM “Insieme di pratiche, rappresentazioni, espressioni, abilità, conoscenze e spazi culturali, con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato, nel corso dei secoli, una sintesi tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale, l’universo mitico e religioso, intorno al mangiare, a partire dagli studi dello scenziato americano Ancel Keys e dei suoi collaboratori a Pollica, nel Cilento, in Campania.”
E’ vero che essa deve rappresentare, per i Paesi e le Comunità riconosciute, un’importante opportunità e una possibile fonte di vantaggi dal punto di vista comunicativo e promozionale, un fattore propulsivo per potenziare il messaggio che essa intende trasmettere, ma è altrettanto vero che occorre che questo “brand” sia riconosciuto da tutti come “valore collettivo” in grado di accrescere l’appeal verso questo stile di vita, un valore a carattere immateriale da trasferire soprattutto alle future generazioni.
Come spesso ci ricordano i professori Petrillo, Niola, Moro, considerati tra i massimi esperti internazionali della materia, la Dieta mediterranea è stato il primo patrimonio socio-alimentare ad aver ricevuto il prestigioso riconoscimento dell’UNESCO, assieme al Repas Gastronomique dei francesi. Tale primato costituisce una responsabilità politica e sociale anche per le nostre istituzioni che sono tenute a far conoscere ed esaltare tali valori con attività di ricerca, di comunicazione, di salvaguardia e di valorizzazione. Ciò con l’obiettivo di conciliare le strategie di sviluppo sostenibile legate alla DM con lo spirito Unesco, contraddistinto dal rispetto puntuale degli elementi utilizzati a sostegno del riconoscimento.
Non a caso anche il Parlamento italiano ha sentito la necessità di intervenire, anche al fine di prevenire eventuali procedure di infrazione da parte dell’UNESCO, ed è in discussione presso la Commissione Agricoltura del Senato, una proposta di legge che intende fare chiarezza giuridica sulla materia, che ripristini la gradualità dei ruoli e delle competenze, avendo due principali obiettivi: la corretta informazione e la vigilanza sull’impiego della denominazione, senza impedire però spazi e protagonismi anche agli Enti territoriali e alle Regioni soprattutto meridionali, come la Campania, che ospita l’unica comunità emblematica italiana, quella del Cilento.
E quindi, sostenere l’organizzazione sul territorio di attività e iniziative in materia di cultura, educazione alimentare e sviluppo sostenibile, nell’intento di riconoscere la qualità e la salubrità dell’alimentazione e delle produzioni tradizionali strettamente associati alla Dieta mediterranea non deve tradursi nel declinare menu con cibi sì e cibi no. Anche gli insaccati, come giustamente dicono gli amici calabresi, che i nostri avi realizzavano dal maiale allevato in fattoria, fanno parte dell’alimentazione mediterranea, e così anche gli agnelli e finanche lo stracotto d’asino. Tutti i cibi della cucina tradizionale contadina venivano consumati dalla famiglia contadina mediterranea nelle quantità eque, consentite per quei tempi. Vanno, pertanto, contestati quei dietologi, o presunti tali, che escludono alcuni alimenti propri della tradizione mediterranea nella loro concezione di DM. Quella è un’altra cosa. E’ una dieta alimentare, che può essere condivisa o meno e che ha tra i propri fondamenti il mangiar sano e pulito, la sostituzione delle proteine animali con quelle vegetali e così via.
Il rischio è quello di avviarci ad una banalizzazione del concetto di DM, legandolo unicamente ad un discorso alimentare. Non fa più ridere vedere in giro sempre più spesso ristoranti che propongono alla clientela “qui solo cibi della dieta mediterranea”, un riconoscimento à la carte che ciascuno può attribuirsi in virtù dell’appartenenza ad un dato territorio.
I valori della Dieta mediterranea che sono stati alla base del riconoscimento del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO nel 2010, sono ben altri, sono quelli che abbiamo declinato sopra.
Insomma, dobbiamo convincerci che essa è prima di tutto uno strumento volto a promuovere e sviluppare il dialogo, la stabilità e la solidarietà tra i popoli del Mediterraneo, poi viene anche l’esaltazione della sua funzione alimentare, ma come dice Marino Niola “Mangiare bene, ma soprattutto mangiare insieme”.