“Non sono un calciatore, per strada nessuno mi riconosce, ma quando indosso lo judogi e salgo sul
tappeto mi sento il Cristiano Ronaldo della situazione”. Le
parole di Manuel Lombardo non sono frutto di immodestia.
Piuttosto nascono dalla consapevolezza di questo ragazzo
torinese, 22 anni, atleta dell’Esercito, di essere uno degli
astri nascenti del judo internazionale.
Lo scorso 16 aprile, a Lisbona, a suon di ippon ha vinto l’oro
europeo della categoria 66 chili: “Un successo che mi ha dato
grande soddisfazione, ha ripagato me, e tutti coloro che mi
seguono, delle centinaia di ore di lavoro che sono alla base di
ogni progresso”. Una piramide che ha al vertice Kyoshi Murakami,
direttore tecnico della nazionale. Lavoro e sacrifici? “No, non
posso definirli tali”. Piuttosto dedizione ad uno sport che e’
diventato una filosofia di vita.
Nel suo palmares c’erano gia’ gli ori conquistati nel Grand
Slam, ad Abu Dhabi (2019) ed ai Giochi del Mediterraneo (2018,
anno in cui e’ stato nominato miglior judoka europeo). Da
quest’anno e’ “Brand Ambassador Le Coq Sportif”. Diplomato in
ragioneria, studente alla facolta’ di scienze motorie di Torino,
e’ di passaggio nella sua citta’ , prima di ripartire per un
training camp in Olanda. Obiettivo i Giochi di Tokyo, dove
Manuel – ora al vertice del ranking mondiale ed olimpico – sogna
di ritrovare sulla propria strada la stella Abe Hifumi,
detentore di due titoli iridati. Quasi coetanei, si sono
affrontati a Parigi, dove vinse l’azzurro. Poi ancora ai
Mondiali del 2019, con un controverso successo del giapponese.
“Ora vado a Tokyo per incontralo in finale – la speranza di
Lombardo – e batterlo in casa sua”.
“Quando sono salito per la prima volta sul tatami? Non ne ho
memoria – risponde con voce allegra – Secondo i miei genitori
avevo tre anni e gattonavo in giro per la palestra, seguendo mio
fratello che praticava judo da quando ne aveva sei. Praticamente
sono nato in questo mondo”. Che con il tempo “mi ha insegnato
molto. Prima di tutto il rispetto dell’avversario, che non e’ mai
un nemico. Per questo l’inchino e’ cosi’ importante. Poi a non
essere egoista, non puoi isolarti durante l’allenamento”. Senza
judo “non so che persona sarei diventato. Avendo iniziato cosi’
presto senz’altro non ha trasformato la mia personalita’ , l’ha
letteralmente creata. Sul tappeto riesco ad esprimermi come
nella quotidianita’ non posso fare”.
Ormai alle spalle il grave infortunio del 2019 (frattura della
mandibola in due punti durante un allenameno, a meno di un mese
dal mondiale dove poi sarebbe arrivato quinto), Manuel ha le
idee chiare su come gestire il suo futuro: “Mi piacerebbe
seguire la mentalita’ dei judoka giapponesi: prendono parte a
pochissimi eventi, ma sono sempre competitivi, vanno per
vincere. Master, grand prix sono competizioni bellissime, ma piu’
che altro dei ‘test match’. Il mio target sono le gare da
titolo”. Parola di predestinato. Manuel e’ lanciato verso Tokyo,
a caccia della medaglia piu’ prestigiosa.