A Cura di Valentina Busiello
Parlando di Professioni e Professionisti, abbiamo intervistato l’ingegnere Giuseppe Di Gioia della citta’ di Benevento. Il nostro Sud Italia, il Mezzoggiorno e’ ricco di eccellenze, professionisti, i piu’ ricercati al mondo, in vari settori, nelle doti di forza e creativita’, nel saper fare pensiero trasversale, nel sapersi adattare.
Il Professore Giuseppe Di Gioia, originario del Sannio, la citta’ di Benevento una delle eccellenze della Regione Campania, la città vanta un cospicuo patrimonio storico-artistico e archeologico frutto delle varie dominazioni ed affiliazioni susseguitesi nel corso della sua storia. Dal giugno del 2011 la chiesa di Santa Sofia edificata nel 760 dal duca longobardo Arechi II, è entrata a far parte del patrimonio dell’umanità UNESCO all’interno del sito seriale Longobardi in Italia: i luoghi del potere.
Ingegnere Di Gioia, ci illustra la sua professione di Ingegnere nello specifico?
La mia vita professionale è cominciata, ormai alcuni anni fa, partendo dalla gavetta: appena laureato in ingegneria informatica ho iniziato a lavorare per alcune società private che si interessavano di applicazioni ICT per la logistica, per il monitoraggio ambientale e poi per società, di livello internazionale, con core business nell’aerospazio. I miei primi compiti era essenzialmente incentrati sulla programmazione di applicazioni distribuite e poi man mano ho accresciuto le mie competenze studiando ed applicando una serie di tecniche e metodologie di project management che mi hanno consentito di poter lavorare sempre più ad alto livello e spostare il mio focus professionale dall’applicazione alla definizione delle strategie e del management. Questo tipo di carriera io credo debba essere naturale per chi intenda la professione come applicazione corretta della passione per la conoscenza e la voglia di interessarsi della risoluzione di problemi complessi, con variabili appartenenti a mondi differenti: le sfide professionali più interessanti sono quelle che ti presentano problemi interconnessi di tipo economico, finanziario, strategico, tecnico, ambientale, di gestione del team di lavoro e della qualità. Ecco, riuscire a trovare la giusta combinazione di soluzioni, in quel preciso momento e con quelle precise risorse a disposizione, è la chiave del successo di un progetto e della sua gestione. La mia necessità di lavorare su molti progetti diversi, in ambiti applicativi differenti, rispecchiano la mia tendenza naturale ad evitare le iperspecializzazioni: non mi ha mai convinto la figura dell’ingegnere (o di qualsiasi altra professione intellettuale) super esperto di poche cose, ma a digiuno del resto e non capace di avere uno sguardo ampio che riesca a comprendere i problemi sotto tutti i punti di vista. Quindi la crescita professionale va affrontata, a mio parere, innanzitutto sotto l’aspetto culturale. La curiosità e la voglia di comprendere e conoscere deve spingerci a saper leggere le dinamiche dei possibili sviluppi degli eventi in ogni loro aspetto. Questo naturalmente può portarti a lavorare con team multidisciplinari, ma anche in questo caso bisogna avere conoscenze approfondite in molti campi per poter trattare con competenza sfide complesse. Dopo la lunga parentesi lavorativa come dipendente di aziende private, ormai da alcuni anni dirigo il mio studio privato di consulenza: naturalmente mi interesso di project e program management e di innovazione e transizione tecnologica in generale.
Ingegnere del Sannio, con una grande capacita’ soprattutto nell’insegnare i giovani professionisti che si affacciano a questa importante professione. Abbiamo da subito notato le sue capacita’ comunicative verso i giovani. La continua crescita dell’Ingegnere si evolve sempre di piu’ a livello mondiale per le più affinate tecniche di progettazione ed innovazione in ogni ambito ingegneristico che rendono la figura dell’ingegnere un profilo particolarmente appetibile e molto richiesto nel mercato del lavoro, soprattutto all’Estero. Secondo lei, parlando della “fuga dei cervelli” come in qualche modo bisognerebbe trattenere le nostre giovani eccellenze al Sud, e quanto è importante dare fiducia ai giovani?
Il problema dell’emigrazione di persone altamente qualificate è il segno più tangibile della sconfitta delle ultime politiche del lavoro e della valorizzazione dei talenti dei giovani italiani. Ho visto tante volte all’opera i nostri ragazzi al lavoro insieme a collaboratori di altri paesi e convengo pienamente con chi afferma che il livello qualitativo della preparazione media delle nostre università sia molto alto. E’ allora illogico mantenere strutture di alta qualità in un generale deserto di opportunità. E’ compito preciso della politica fare in modo che si possano avere a disposizione tutti gli strumenti per poter competere alla pari con gli altri paesi del consesso europeo e mondiale: io sono convinto che la chiave dello sviluppo del nostro sud possa essere esattamente il talento dei nostri giovani. In questa fase ci si potrebbe accontentare anche soltanto di fare in modo di non essere loro di intralcio!
Ridurre i gap delle infrastrutture immateriali, accompagnarli nelle prime fasi di organizzazione e lancio delle proprie realtà imprenditoriali, semplificare la burocrazia, potrebbe creare tanta ricchezza per ciascun attore economico e per le nostre realtà in generale. Il rilancio dell’Italia, e del sud in particolare, passa per il rispetto del nostro passato, per la valorizzazione e protezione dell’ambiente e del patrimonio culturale, e per la promozione dei talenti. La politica industriale italiana dovrà naturalmente prevedere molti altri punti in agenda: dalla protezione dei marchi e delle aziende di prestigio, la valorizzazione della centralità logistica della nostra penisola nel mediterraneo, la transizione digitale e green. Ma molte di questi asset, per essere adeguatamente sfruttati, hanno bisogno di una nuova cultura imprenditoriale, un modo nuovo di pensare alle collaborazioni internazionali, agli sviluppi delle nuove tecnologie.
Pensiamo solo all’importanza delle conoscenze nei campi dell’Intelligenza Artificiale e della cybersecurity. Queste non sono più nicchie di ricerca, ma strumenti su cui si misura la capacità di una nazione di competere con le altre e di proteggere i propri interessi e le proprie libertà.
Ed è chiaro quindi il link esistente fra nuovi sviluppi dell’economia italiana e la valorizzazione dei talenti dei nostri laureati (e non).
Ci illustra i suoi progetti futuri e come secondo lei nel campo politico si possa creare una buona classe dirigente?
A questa domanda darò una risposta più conservatrice: la selezione della classe dirigente deve tornare ad essere uno degli obiettivi più importanti dei movimenti e dei partiti politici. Fare selezione significa che devono innanzitutto esistere dei luoghi dove il merito si conquista, dove si dialoga, si impara, dove ci si confronta e si conosce. Quindi a me sono completamente alieni tutti quei movimenti liquidi, dove non esiste un posto fisico in cui incontrarsi e in cui parlare. I social sono un ottimo canale di comunicazione ma non possono essere un canale di formazione politica. Allora i partiti, per il bene della nazione e per la salvaguardia dei principi fondanti la nostra democrazia, devono sapere scegliere chi per competenza, cultura e preparazione può essere delegato a rappresentare pochi o tanti cittadini nelle varie competizioni elettorali. Il merito e la cultura: queste sono le due parole chiave. Sono contrario alle quote rosa, alle scelte che avvengono in luoghi diversi da quelli deputati a tale scopo, alle semplificazioni e alle improvvisazioni. La politica è un’arte complicata. Prevede la capacità di darsi obiettivi, di saperli declinare su diversi orizzonti temporali, saper lavorare per massimizzarne l’impatto positivo sulle nostre comunità. Tutto questo non si improvvisa, come abbiamo potuto osservare negli ultimi anni.
Io mi sono sempre interessato in prima persona di politica e ritengo che poter mettere a disposizione dei propri territori, delle proprie comunità e del proprio paese le competenze personali, conquistate con anni di lavoro e di sacrificio, sia uno degli onori più grandi che un cittadino di questa nazione possa avere.
Nel secondo dopoguerra emerse una classe politica forgiata delle difficoltà di un conflitto mondiale che aveva devastato fisicamente ed economicamente il nostro paese. Da quel periodo doloroso nacque il riscatto dell’italia, il periodo del boom economico e dell’Italia quinta potenza industriale del mondo. Anche ora stiamo vivendo un momento storico molto complicato e bisogna essere ottimisti sulla nostra capacità di poterne uscire sfruttando tutte le possibilità che i momenti di crisi pure consentono di intravedere. Ma nessuno ci regalerà nulla. Ancora una volta servirà far emergere le competenze e la voglia di metterle a disposizione per la crescita generale del sistema paese.