Di Sergio Talamo. Uno studio sulla riapertura del cantiere-comunicazione pubblica, annunciato dalla Ministra Pa, Fabiana Dadone. E’ sul tavolo la questione della svolta digitale e soprattutto della effettiva centralità del cittadino. Riparte il cantiere-comunicazione. Una legge 151 per la Pa digitale e citizen oriented Enti Locali & PA Si riapre finalmente la questione della comunicazione pubblica in Italia. In un’intervista, la ministra Fabiana Dadone annuncia l’apertura di un tavolo in sede Aran: «Si può ragionare sulla necessità di importare istituti propri del contratto giornalistico, riconoscendo la specificità della figura in seno al contratto nazionale, ad esempio a seguito dell’apertura di una sequenza contrattuale Aran. È comunque un tema importante e da affrontare a stretto giro, visto il peso sempre maggiore della comunicazione anche nelle pubbliche amministrazioni».
Prima di analizzare prospettive e nodi di questa svolta è necessario porsi un interrogativo fondamentale: per quale motivo il cambio di passo nel processo comunicativo viene da anni evocato e non decolla mai? Alla radice di questi annunci senza riscontri effettivi, c’è un’idea di Stato non ancora definita e assimilata: esistere per se stessi o per cittadini e imprese? Privilegiare le proprie procedure o i risultati gestionali? Valutarsi o farsi valutare? La nuova Ministra della Pa sembra non avere dubbi, e infatti ha aperto il suo mandato dicendo che «la Pubblica amministrazione non è una torre d’avorio o un’isola separata dal resto della società civile (…). Serve un nuovo patto tra la Pa e la comunità nel suo complesso, a partire dalle imprese, i professionisti, il terzo settore, i territori, le autonomie. E naturalmente i cittadini tutti: l’amministrazione è pubblica non perché appartenga allo Stato o a qualche grande burocrate, ma perché è mia, vostra, di ciascuno».
Va detto che concetti simili erano stati enunciati anche da alcuni suoi predecessori, fra cui nell’ultimo decennio si possono citare Renato Brunetta, Marianna Madia e Giulia Bongiorno. Cosa è mancato, per tradurre questa vision dalle norme alla vita quotidiana? Questo dilemma merita una riflessione a parte, perché investe la concezione stessa dell’attività pubblica.
L’approfondimento
Intanto va detto che se vogliamo rendere concreto il patto auspicato dalla Ministra, l’essenziale svolta in tema di comunicazione non potrà restare confinata ad un tavolo contrattuale ma, in parallelo, dovrà investire il campo legislativo. Si parla ormai da tempo di una ‘legge 151’, un nuovo Codice della comunicazione pubblica che non riguardi solo la professione giornalistica in senso stretto, ma tutte le numerose funzioni che, con l’irruzione del digitale, sono diventate centrali nel dialogo con il cittadino. È come un arco che ai tempi della legge vigente, la 150 del 2000, possedeva solo alcune frecce (in sintesi, comunicati stampa, telefoni e sportelli al pubblico) e oggi ha a disposizione un set di frecce elevatissimo e, soprattutto, dotato di strumenti ad alta precisione, che non parlano ‘al pubblico’ in generale ma ad utenti con specifiche identità e precisi bisogni. Inoltre è cambiato il concept della comunicazione: venti anni fa era intesa come una sorta di ‘gentile concessione’, cioè l’illustrazione al cittadino di norme e servizi nel quadro di uno Stato ancora insindacabile e inarrivabile. Oggi la visione del rapporto Stato-cittadino è quella descritta dalla Ministra Dadone. Del complesso normativo e, prima ancora, del comune sentire fanno parte concetti come trasparenza totale, cittadinanza digitale, diritto alla qualità dei servizi e alla loro fruizione con i mezzi di ultima generazione.
L’uso professionale dei social e delle nuove tecnologie ha allargato enormemente il confine della comunicazione pubblica: non più un’erogazione unilaterale verso un destinatario passivo, non più un’informazione istituzionale mediata esclusivamente dalla stampa, ma un rapporto diretto, interattivo e in tempo reale, un flusso che raggiunge direttamente il cittadino nei luoghi virtuali in cui effettivamente opera e interagisce con il mondo esterno. Quindi l’Ufficio stampa del 2000, che al tempo fu nettamente separato dall’Ufficio relazioni con il pubblico, ha assunto una dimensione molto più ampia e centrale nelle politiche pubbliche. Quella che era una struttura specialistica incaricata di elaborare comunicati e gestire le media relations, si trasforma in un centro complesso di produzione di informazioni e contatti con il pubblico, che governa attività come la comunicazione social, la multimedialità, l’accesso generalizzato introdotto dalla trasparenza totale, gli eventi (e la loro versione social, in diretta e on demand), la comunicazione interna, le consultazioni pubbliche e le rilevazioni di citizen satisfaction che la legislazione collega strettamente alla valutazione della performance. E non è certo secondario il rapporto con il back office:presidiare quel ‘front office permanente’ che è un social interattivo esige un collegamento organico con le uniche reali fonti di informazioni e soluzioni, cioè gli uffici interni.
Tiriamo le somme.
Al momento dell’insediamento del Team digitale, nel 2016, Diego Piacentini lanciò un manifesto che andava dritto all’obiettivo: «Saremo ossessionati dalla semplificazione; tutto quello che faremo sarà facile da utilizzare per i cittadini»; «Penseremo e progetteremo con un approccio mobile first (…) con architetture sicure, scalabili, altamente affidabili e basate su interfacce applicative chiaramente definite»; «L’ascolto, la trasparenza e la condivisione sono i valori cruciali che guidano le azioni di questo team». In pratica, il comunicatore digitale è colui che fa da verificatore e garante verso il cittadino di questo progetto, che nel frattempo si è arricchito di innovazioni come la trasparenza totale (Foia italiano, Dlgs 97/2016) e della performance partecipata dal cittadino (legge 74 del 2017).
Conclusioni
È su questo profilo professionale, non certo su quelli del 2000, che si dovrà intervenire in modo incisivo. Ma anche sul lato dei profili per fortuna non si parte da zero. Nei Ccnl 2017-2018 sono indicate le figure dello Specialista della comunicazione pubblica e del Giornalista pubblico (in quest’ultima figura va ricompresa la terza figura prevista dai contratti, lo Specialista in relazioni con i media). A questi ruoli professionali, collocati in categoria D, sono associate diverse funzioni che, sebbene in modo ancora confuso, già nei contratti rendono evidente che il perimetro della comunicazione pubblica si è fortemente dilatato. Si citano infatti, accanto alle funzioni tradizionali, l’accesso civico, la gestione degli eventi, le consultazioni pubbliche e naturalmente l’uso dei social media. Se a queste previsioni contrattuali si aggiungono norme già vigenti nel nostro sistema, come ad esempio il Foia, il nuovo Cad, la partecipazione del cittadino alla valutazione ed altre, si può dire che sono diversi gli elementi-chiave da cui è possibile ripartire per ricostruire per via legislativa il ruolo e il peso specifico delle funzioni comunicative pubbliche. Senza dimenticare che molto del successo di una svolta come quella annunciata, dipende dal modello organizzativo che si adotta. La ‘separazione in casa’ prevista nel 2000, complicata ulteriormente dall’indefinita figura del portavoce, ha prodotto risultati parziali quando non insoddisfacenti. La direzione di marcia che oggi si è affermata è l’Ufficio unico, come quello proposto dall’associazione PAsocial – Ufficio comunicazione stampa e rapporti con il cittadino – che mette 5 desk diversi (accesso, eventi, stampa, citizen satisfaction e comunicazione interna) al servizio di un unico obiettivo: la qualità della prestazione al cittadino. «Serve una nuova narrazione – dice ancora la ministra -, perché la Pa non è un ufficio sommerso di scartoffie o una sala d’attesa con un turno allo sportello che non arriva mai».
Il cantiere è aperto, insomma, ora è importante procedere verso il rilancio delle professioni che possono rendere la Pa digitale e citizen oriented.
Fonte del Sole 24 ORE