Una corsa contro il tempo restituisce la speranza a Sona. In dieci giorni è arrivato all’ospedale Santobono di Napoli il farmaco più costoso del mondo che ha permesso di curare con una terapia innovativa una bambina di sei mesi affetta da atrofia muscolare spinale di “tipo I”, una gravissima malattia genetica neuromuscolare che può causare la morte entro i primi due anni di vita. «Un miracolo», lo definisce il primario di Neurochirurgia Antonio Varone, reso possibile dallo straordinario gioco di squadra messo in campo dall’azienda ospedaìiera Santobono-Pausilipon e dal servizio farmaceutico della Regione Campania. Per la prima volta in Italia, Sofia è stata sottoposta alla terapia genica autorizzata in Europa a maggio e nel nostro Paese a novembre, basata sulla somministrazione via endovena dello “Zolgensma”, un farmaco prodotto dall’azienda farmaceutica americana Avexis che costa 1.9 milioni di euro per ogni trattamento. Il medicinale è interamente a carico del sistema sanitario pubblico solo se il bambino ha meno di sei mesi. Cosi, racconta Varone, «appena in Gazzetta ufficiale è stato pubblicata l’autorizzazione, ci siamo messi in moto. Era il 17 novembre. Sofia, che avevamo già in cura da noi, avrebbe compiuto sei mesi il 28. Tutto il sistema ha fatto la sua parte. E ce l’abbiamo fatta». La Campania, sottolinea Ugo Trama, responsabile del servizio farmaceutico della Regione guidata da Vincenzo De Luca. «è riuscita a rendere disponibile il farmaco con tempestività. Con il Santobono stavamo lavorando già da mesi per farci trovare pronti. Il trattamento, spiega Varone, si basa su un «virus che viene modificato togliendogli il Dna virale e inserendo un gene umano funzionante. Una volta iniettato nell’organismo del bambino, il virus diventa il vettore che veicola questo gene nelle cellule motorie del midollo, replicandosi e producendo la proteina mancante.La terapia genica è un’altra possibilità terapeutica accanto a quella già utilizzata. Non è una sperimentazione, bensì un trattamento già autorizzato negli Stati Uniti, in Europa e infine in Italia». Il limite dei sei mesi, aggiunge Varone, «è stato deciso dall’Alfa. Di sicuro la cura è tanto più efficace quanto più è precoce. È indispensabile uno screening neonatale per intervenire immediatamente