Sembra che la “cattiveria” in politica sia diventata essenziale. Più sei arrogante, più colpisci i tuoi avversari con tutte le nefandezze possibili, più sgomiti senza guardare in faccia nessuno, dimenticando le assicurazioni date agli amici ed ai de-luca-1nemici, e più sei un politico vincente. I giochini per raggiungere il potere si son sempre fatti. Ma c’è un limite a tutto. E proprio la politica dovrebbe provare ad educare il cittadino, perché dovrebbe essere il “mestiere” – lasciamo perdere la parola missione –, certo non facile, di rappresentare i bisogni reali della gente, nell’ottica del raggiungimento del “bene comune”. E’ possibile gestire la res pubblica senza vestire i panni dello sceriffo super illuminato, unico detentore del potere, del sapere e via dicendo? Io dico di sì, ma non basta criticare, c’è bisogno di sporcarsi le mani, di scendere in campo, combattere con coerenza, impegno, dedizione, e soprattutto con l’esempio, un modo di fare politica diventato intollerabile.

I fatti di cronaca ci dicono che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, in quanto a prese di posizioni al di là dei limiti del buon gusto e del buon senso pare non sia secondo a nessuno. Ultima il “fuorionda” di Matrix contro la presidente dell’antimafia Rosy Bindi, colpevole di aver inserito il suo nome tra i candidati impresentabili dell’ultima competizione elettorale del 2015. “Quello che fece la Bindi – afferma De Luca – è stata una cosa infame, da ucciderla. Ci abbiamo rimesso l’1,5%, il 2% di voti. Atti di delinquenza politica”. Affermazioni a dir poco pesanti nei riguardi della Bindi che stilò l’elenco dei diciassette impresentabili in base, tra l’altro, a procedimenti penali in corso. E, a qual tempo, l’ex sindaco di Salerno era accusato di abuso d’ufficio e peculato. Per quella vicenda giudiziaria, una volta eletto e diventato presidente della Giunta regionale, fu sospeso dall’incarico per effetto della legge Severino, provvedimento poi sospeso dal tribunale in attesa del pronunciamento della Corte costituzionale sul caso. Una candidatura, la sua, che a rigor di logica – e soprattutto della legge Severino – non andata presentata. Va detto che la vicenda giudiziaria si è conclusa con l’assoluzione del governatore, da parte della Corte d’appello di Salerno, “perché il fatto non sussiste”.

Con i giornalisti ostili De Luca non si è mai risparmiato in epiteti non proprio amichevoli. Lo fa anche provando a giustificare il “fuorionda” di Matrix: “Ci ritroviamo di fronte all’ennesimo atto di delinquenza giornalistica. Chiarisco che nell’intervista che ieri ho rilasciato a Matrix nessuna domanda, e tantomeno alcuna risposta, ha riguardato l’onorevole Bindi”. Su Marco Travaglio, che aveva criticato la sua candidatura per via delle questioni giudiziarie che lo affliggevano, afferma: “Spero di incontrare quel grandissimo sfessato di Marco Travaglio di notte, al buio”. Anche a “Michelino” Santoro arrivano gli strali di don Vincenzo che lo definisce “cialtrone” insieme a Travaglio. Ma forse la frecciata più pesantemente ad effetto tocca a Peter Gomez dipinto come “un superfluo, un consumatore abusivo di ossigeno, un danno ecologico permanente”. L’ex sceriffo sindaco se la prende anche con Roberto Saviano che definisce uno che “Si inventa la Camorra, anche dove non c’è, per non restare disoccupato”. Insomma, di frasi celebri di De Luca si potrebbe fare un libro. Il problema è un altro. Quando si è a capo di un’istituzione come la Regione Campania, o di un partito, o di un movimento servono i leaderismi esasperati e divisivi o figure capaci di ragionare più che insultare? La risposta per me è ovvia: il vero leader non ha bisogno d’inventarsi prove di forza condite con bestemmie ed insulti. Ve lo immaginate un Aldo Moro, o un Enrico Berlinguer, o il tanto discusso Giulio Andreotti, o Almirante utilizzare certi termini? Altri tempi?

Nel 1993, dopo essere stato sindaco di Salerno ad interim, Vincenzo De Luca va al ballottaggio con la sua lista di sinistra, “Progressisti per Salerno” (24%), contro quella di centro guidata dal professore universitario Giuseppe Acocella, “Salerno progresso”(21%). Vince De Luca. Acocella aveva rifiutato il gemellaggio con il Msi che nella prima tornata elettorale aveva riportato il 17% dei voti. Un errore di Acocella? Certo, nella logica del “vincere a tutti i costi”. In base però alla coerenza di ciò che si è predicato ed insegnato no. Per far vincere la coerenza c’è bisogno però di più sforzo, di più impegno, di più partecipazione in particolare di quelli che credono – e sono tanti – che la politica sia un mestiere finalizzato solo “al bene comune”.

di Elia Fiorillo