Con il progredire omnidirezionale oramai quotidiano delle tecnologie perlopiù di largo consumo, anche (e per alcuni aspetti soprattutto) il campo del giornalismo è cambiato radicalmente, si è entrati nell’era dell’informazione 2.0, in cui le notizie circolano globalmente alla velocità della luce, in cui ogni persona che sia semplicemente in possesso di uno smartphone si trasforma a sua insaputa in un reporter, in cui con un video, un tweet o un post su Facebook si informano istantaneamente una quantità più o meno definita di contatti circa un qualsiasi evento accaduto a distanza di secondi. Basti pensare che solo su Facebook, il social network per eccellenza, si contano quasi due miliardi di iscritti. Basti pensare a come eventi imprevedibili tipo una catastrofe naturale o, purtroppo più spesso in questo periodo, un attacco terroristico, siano raccontati da malcapitati spettatori, subito e senza filtri alla loro cerchia di amici, che sempre senza filtri ed altrettanto in fretta possono a loro volta condividerlo con i propri, rendendo in minuti una notizia virale.
Sono proprio queste peculiarità che rendono il lavoro del giornalismo dell’ultimo minuto particolarmente difficile. Riportare una notizia in maniera esatta, con le dovute fonti e con la stessa velocità con cui circola sui social non è possibile. E questa difficoltà è un problema più serio di quanto sembrerebbe. Perché se da una parte in situazioni d’emergenza una “notizia social” può rivelarsi addirittura salvavita, in molti altri casi non è così. Stiamo parlando delle cosiddette FAKE NEWS. -Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe. (Mark Twain). Le bufale sono una piaga che hanno trovato terreno fertile nell’inesperienza dell’utente medio dei social che è portato a credere che qualsiasi cosa legga con l’aspetto di un articolo di giornale sia vero. Uno studio portato avanti da ricercatori statunitensi della Pew Research Center ha evidenziato come oltre l’80% degli intervistati (oltre 50mila persone da 25 diversi paesi) si tengano informati esclusivamente o quasi tramite social network. Ed è facile dunque capire come con numeri cosi importanti come quelli di Facebook, il dato sia particolarmente preoccupante. Quello delle bufale è un vero e proprio business.
Come funziona? Ci sono diverse decine di siti simili sia nei nomi che nell’aspetto a veri siti di informazione regolarmente registrati, in cui vengono alternate poche notizie veritiere (quelle più eclatanti) a molte notizie inventate di sana pianta, spesso con una componente polemica molto rimarcata in modo da far breccia nel lettore. Il titolo è fondamentale. Purtroppo spesso è l’unica cosa che conta, infatti alcuni studi hanno evidenziato come una larga percentuale di chi legge e condivide notizie vere o false che siano, si limiti a leggere solo il titolo, facilitando così il compito di chi ci guadagna spargendo bufale. Ma come ci guadagna? E’ semplice, con le pubblicità. I siti “bufalari” sono inondati di banner pubblicitari, e il compenso varia in base ai click e alle visualizzazioni che la pagina su cui c’è la pubblicità ottiene, quindi più visualizzazioni più soldi, e per questo chi c’è dietro non ha scrupoli. Le bufale spaziano in diversi campi, da “invenzione che cambierà il mondo” a “cura omeopatica che le multinazionali vogliono nasconderti” a “approvata legge per aumentare le pensioni dei parlamentari” e così discorrendo.
A volte difendersi dalle bufale non è facile, ma è necessario. Perché in alcuni casi una bufala può rovinarti la vita. E’ quello che è successo, ad esempio, ad un postino la cui foto fu allegata ad una bufala dal titolo “attenzione a questo postino truffatore”, che per questo perse il lavoro e la credibilità. In molti casi bufale mirate, in ambito politico in periodi elettorali, possono spostare importanti quantità di voti a sfavore o a favore di determinati candidati. Per capire se si è difronte una bufala o meno vanno fatte essenzialmente due cose: innanzitutto va letto tutto l’articolo e non solo il titolo, per iniziare a rendersi conto se sia assurdo o meno quanto si legge; e poi, cosa più importante, documentarsi e cercare da altre fonti accreditate la stessa notizia.
Ma spesso e volentieri quello che basta è semplicemente un pò di buonsenso.
A cura di Piergiorgio Petoia