“Le parole sono pietre” è il titolo di un libro di Carlo Levi. Parole che quando colpiscono fanno male, più delle stesse pietre. Ma le parole possono trasformarsi in rassicuranti refrein, vera camomilla per lo spirito. Pillole da distribuire a destra e a manca per celare indecisioni, per non affrontare delicate questioni. Per dare il là ad eventi che potrebbero essere letti in tanti modi diversi. Prendete ad esempio la parola “opposizione”, ripetuta in tutte le salse, anche con scarsa convinzione, dagli esponenti del Pd.
Un mantra declinato a gogo per esorcizzare, provarci per lo meno, una sconfitta storica subita dai democratici. Insomma, uno scudo comodo per la classe dirigente di quel partito che non prova a scendere nel profondo della problematica, che addossa genericamente a tutta l’azione del partito le sconfitte subite. Passare dal quaranta per cento delle Europee, al quaranta per cento del referendum perso, per poi sprofondare al di sotto del 20 per cento delle Politiche è un bel crollo. Proprio Matteo Renzi, segretario del Pd al 40% eppoi al 20% meno qualche cosa, dovrebbe essere il più interessato a capire la disfatta. E, invece, sembra più avvinto a tenersi stretto il potere di condizionamento che a far aprire una discussione a tutto campo. Fino al punto, secondo i soliti ben informati, da ipotizzare un suo partito.
“Opposizione, perché gli elettori hanno voluto così”, si ripete al Nazareno. I votanti rimasti ai democrat hanno scelto un partito che potesse governare. Gli altri, quelli persi, non possono avere voce in capitolo, perché sono andati da un’altra parte.
Più che un “reggente” Maurizio Martina sembra diventato un “equilibrista” sulla fune che spesso è strattonata dai renziani. E’ lui che dovrebbe aprire un grande dibattito nei dem, a partire dalle sezioni di base. Un confronto a tutto campo per arrivare ad un Congresso non scritto a priori dai notabili, come troppo spesso avviene.
“Non auspico un governo M5S-Lega – dichiara l’ex ministro delle Politiche Agricole – né tantomeno tifo per un voto anticipato. Dico che l’esito elettorale ci consegna una funzione, quella di stare all’opposizione. Ma questo non significa isolarci o metterci in freezer. Dobbiamo dare battaglia in Parlamento, ricostruire la sinistra, ripartire dagli errori commessi riconoscendo però il lavoro fatto”. Certo, “opposizione”, ma anche “ricostruire la sinistra”, e “ripartire dagli errori commessi”. L’attuale responsabile Pd non spiega come mettere in moto la macchina del rinnovamento. Ancora una volta, al di là di ipotesi di lavoro concrete, si ricorre a parole consolanti, particolarmente per chi le pronuncia: “ripartire”, “ricostruire”. Parole, parole, parole….
C’è chi però non sta fermo un attimo e prova in tutti i modi possibili a scardinare gli altrui schieramenti. Gigino Di Maio lancia l’ultima delle sue: un accordo alternativo a Lega o Partito democratico in base ad un “accordo-contratto” alla tedesca. Una serie di punti concordati per l’azione di governo, retto ovviamente dal premier Gigino, tra cui il conflitto d’interessi. Ovviamente nessuna possibilità d’accordo o di contratto se ci sono ancora in campo Berlusconi e la sua Forza Italia e il Matteo dem. Di Maio non fa un favore a Martina quando afferma: “Con Martina segretario è il nostro primo interlocutore. Martina, Minniti e Franceschini hanno fatto bene”. Al sospettoso e vendicativo ex presidente del Consiglio certi complimenti fatti da nemici giurati ai “suoi” sono pugnalate al cuore, ma anche iscrizione automatica degli elogiati nella sua lista nera.
Tattica, veto, provocazione, contrapposizione le parole – leggi contegni – più adoperate in questo periodo. E il Paese sta a guardare nel bisogno assoluto di un governo che governi nell’ottica del bene comune. Nella situazione attuale ritornare alle urne certo non conviene al Pd che correrebbe il rischio di scomparire, ma nemmeno a Salvini e Di Maio. Non è proprio detto che porterebbero a casa gli stessi consensi di quelli avuti il 4 marzo. Agli elettori populisti basta una sensazione, una convinzione, per spostarsi da una sponda all’altra.
L’ultima speranza è Sergio Mattarella. Dal suo cilindro dovrebbe uscire la soluzione che metta tutti d’accordo. Lui, il presidente, ha già fatto sapere che si atterrà alla volontà dei partiti senza inventarsi soluzioni personali. Insomma, sonderà i lati oscuri delle forze politiche per capire se certe soluzioni saranno perseguibili. Non un governo del presidente ma dei partiti, anche se questi non vorranno ammetterlo.
A cura di Elia Fiorillo