Rapidissima e silenziosa nel diffondersi, forte di 50 mutazioni alcune delle quali mai viste, la variante Omicron e’ ancora un mistero ed e’ caccia ai dati
capaci di chiarire se e quanto le sue tre sorelle (chiamate
BA.1, BA.2 e BA.3) le somiglino. In questo momento le domande
riguardano soprattutto la BA.2, identificata anche in Italia, e
raccogliere le sequenze genetiche e’ il primo passo per
inseguirla nel suo cammino. I primi segnali del suo arrivo erano
stati previsti gia’ in dicembre grazie allo studio statistico,
condotto in Gran Bretagna dall’italiano Livio Fenga, e lo stesso
metodo potrebbe permettere di giocare d’anticipo sulla pandemia,
prevedendo l’arrivo di nuove varianti.
“La presenza, in Italia, della nuova variante che si stava
diffondendo dalle regioni settentrionali era stata individuata
gia’ alcune settimane fa, molto prima dell’identificazione della
sequenza genetica”, rileva Fenga, dell’universita’ britannica di
Exeter. “Strumenti di analisi come questi – aggiunge – sono
molto importanti per riuscire a giocare d’anticipo sull’arrivo
delle nuove varianti”.
Ottenere le sequenze genetiche e’ l’altra arma importante
nella caccia all’Omicron e alla sua famiglia, ma nel mondo non
tutti seguono lo stesso ritmo. Le linee guida internazionali
indicano che si ha un quadro realistico dell’epidemia in un
Paese ottenendo le sequenze genetiche per il 5% dei casi
positivi. In Italia “solo due Regioni sequenziano il 5% dei
propri positivi al Sars-Cov-2: la Campania e l’Abruzzo”, indica
un’elaborazione a cura dei ricercatori del laboratorio di
genomica integrata dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina
(Tigem) di Pozzuoli. In Italia, inoltre, “la
raccolta dei dati e’ affidata alle singole Regioni, che si sono
organizzate in modi molto diversi”, osserva il coordinatore
della ricerca, il biologo molecolare Davide Cacchiarelli,
dell’Universita’ Federico II di Napoli. Il ministero della Salute
ha intanto predisposto una nuova indagine rapida per comprendere
la presenza delle varianti del virus SarsCoV2 in Italia.
Si lavora poi per ricostruire l’origine della Omicron,
ma nemmeno questa strada e’ semplice. Per esempio, e’ un mistero
l’assenza di legami fra Omicron e le varianti che l’hanno
preceduta, come Alfa e Delta: “sembra uscita dal nulla”, dicono
gli esperti. Capire l’origine della Omicron potrebbe aiutare a
capire in quali condizioni potrebbero formarsi nuove varianti e
forse a prevenirle. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della
Sanita’ (Oms) ha istituito in gennaio il gruppo di lavoro sulle
Origini dei nuovi patogeni, e in febbraio e’ atteso un primo
rapporto.
Sull’analisi delle mutazioni partono anche i primi studi
sulla virulenza della Omicron, come quello pubblicato sulla
rivista Microbial Pathogenesis da Ali Adel Dawood,
dell’Universita’ irachena di Mosul, secondo cui l’aumento della
frequenza delle mutazioni della Omicron puo’ far aumentare la
risposta immunitaria e ridurre la virulenza del virus Sars
Cov-2.
Una nota positiva arriva infine dall’Italia, dove la ricerca
dell’IRCCS Ospedale San Raffaele pubblicata su Nature Immunology
ha individuato una molecola attiva nella prima linea del sistema
immunitario che riconosce e blocca la proteina Spike di ogni
variante nota del virus SarsCoV2, Omicron inclusa.