Scritto dall’autore in sette anni di approfonditi studi sulla cultura e religione della Romania e sulla figura del sanguinario conte Vlad Tepes, ha trovato nuova vita nello spettacolo portato in scena dalla riscrittura di Sergio Rubini che ne cura anche la regia insieme ad un adattamento scenico con la giovane Carla Cavalluzzi laureata in Filosofia del linguaggio su “Il Cinema di Kieslowski: l’inferno dell’etica”.
In scena Sergio Rubini e Luigi lo Cascio con Lorenzo Lavia, Roberto Salemi, Geno Diana e Margherita Laterza, danno vita al famoso romanzo “oscuro” che offre agli spettatori l’opportunità di provare sensazioni profonde di ancestrali misteri. La storia di Dracula è un viaggio notturno verso l’ignoto, un viaggio tra lupi che ululano, nebbie e croci ai bordi delle strade ma è anche il viaggio interiore che è costretto ad intraprendere il giovane procuratore londinese Jonathan Harker,( Lo Cascio) incaricato di recarsi in Transilvania per curare l’acquisto di un appartamento a Londra effettuato da un nobile conte della Transilvania. Il giovane avvocato non immagina la sciagura che lo attende, ma si rende conto immediatamente, appena ha inizio il suo viaggio, di sprofondare in un clima di mistero e di scongiuri. È proprio in questo clima di oscurità e paura che il giovane Harker verrà calato prima ancora di conoscere il Conte,proprietario del castello in cui è ospitato, in una paurosa situazione di lunga prigionia forzata da parte dello stesso conte Dracula.
Ma il viaggio che compie il giovane Harker non si limita a quell’esperienza fatta di angoscia e paura. L’orrore di ciò che ha vissuto al Castello deborda e finisce con l’inghiottire tutta quanta la sua esistenza, diventa un’ossessione che contamina tutto ciò che ha di più caro, destabilizzando irrimediabilmente ogni certezza. Di questo contagio ne è vittima in primo luogo sua moglie Mina di cui Dracula è invaghito follemente, a cui Jonathan Harker inizialmente non ha il coraggio di raccontare quanto accaduto nel suo viaggio. È dalla lettura del diario redatto durante il soggiorno-prigionia di Jonathan al Castello che Mina viene a conoscere l’origine di quel malessere, che sembra essersi impossessato del suo giovane sposo ed averlo mutato profondamente. Un malessere che come una malattia incurabile finirà per consumare anche lei. Il giovane Harker, si alterna tra il diario ,in cui annota le vicende, e l’azione vera e propria, in un andirivieni di flashback che ammiccano alla celebre versione cinematografica firmata da Francis Ford Coppola. In mezzo, tra ululati di lupi e tombe scoperchiate, un ininterrotto crescendo di tensione che l’irruzione sulla scena di Rubini che interpreta il dottor-Van Helsing rende sempre più palpabile, fino alla resa finale: la bara aperta nella neve, il cuore infilzato, la testa esposta al pubblico, spettatore e testimone dell’orrore che, anche quando tutto finisce, è scosso da un’ultima porta che si apre di colpo. Ben resa la dimensione spettrale dove il buio prevale fortemente sulla luce trascinando il pubblico in una continua tensione fino all’ultima scena.
A cura di Pino Attanasio