L’Italia sta affrontando l’estate 2021 con uno scenario che per molti versi e’ simile a quello
dell’estate 2020. Certamente i vaccini costituiscono una grande
differenza, ma le analogie sono molte, osserva Ettore Domenico
Capoluongo, ordinario di Biochimica clinica dell’Universita’
Federico II di Napoli, principal investigator e membro della
task Force Covid 19 del centro Ceinge- Biotecnologie avanzate.
Secondo l’esperto il nostro Paese e’ inoltre ancora al 2,5% delle
sequenze ottenute sul totale dei casi positivi: lontano dal
garantire il 5% indicato da Organizzazione Mondiale della Sanita’
(Oms) e dei Centri Europei per il Controllo delle Malattie
Ecdc).
“Anche nell’estate 2020 – ha osservato – sembrava ci fosse
una frenata nella diffusione del virus, ma le popolazioni si
sono spostate per motivi turistici e a fine agosto c’e’ stato
picco di nuovi casi, che in seguito si e’ scoperto dovuti alla
variante Alfa”, come viene chiamata adesso la variante isolata
in Gran Bretagna nel dicembre 2019 e che oggi in Italia
costituisce circa l’80% del virus SarsCoV2 in circolazione.
“Dopo il lockdown e le misure di contenimento adesso assistiamo
a una ripresa del turiscmo e all’allentamento delle restrizioni
e, con esse a un aumento esponenziale della variante Delta”, ha
detto ancora Capoluongo. I virus risentono dell’ambiente in cui
si trovano, dal numero di persone vaccinate al livello della
temperatura, ma fare il tracciamento e ottenere le sequenze sono
fra le contromisure fondamentali per arginare la circolazione
del virus. “Piu’ varianti presenti in uno stesso soggetto possono
acquisire caratteristiche piu’ virulente e maggiori capacita’ di
trasmettersi”, ha osservato il biochimico.
In questo momento moltissime nazioni, prime fra tutte la
Gran Bretagna e la Germania, stanno ottenendo le sequenze del
virus secondo le indicazioni di Oms e Ecdc, mentre l’Italia
riesce a raggiungere il 2,5% di sequenze. “Raggiungere il 5% –
ha concluso – e’ necessario per avere chiaro il livello di
diffusione per evitare situazioni a macchia di leopardo, nelle
quali diventa difficile individuare i focolai”.