Nikola Tesla oltre ad aver dato alla luce rivoluzionarie invenzioni ha avuto il pregio di ispirare svariate tappe dell’intero progresso scientifico che abbraccia non solo il XX secolo, ma anche il nostro XXI secolo. Ingegnere, inventore, fisico e ricercatore di origine serba naturalizzato americano, Nikola Tesla durante il corso della sua vita non smise mai di mettere in campo e dar corpo ad una sfrenata immaginazione capace di vedere il mondo come nessuno dei suoi contemporanei. I suoi numerosi brevetti hanno anticipato gli sviluppi successivi del mondo della scienza e della tecnica. In vita regalò al mondo il motore polifasico a corrente alternata e il sistema di distribuzione, rivoluzionando il settore dell’energia e gettando le basi per il suo straordinario sviluppo. Quando diciamo elettricità pensiamo a Thomas Edison, quando diciamo radio pensiamo a Guglielmo Marconi, ma visse un uomo a loro contemporaneo le cui scoperte non solo furono di gran lunga più sconvolgenti ed innovative, ma che catapultò letteralmente il mondo nel XX secolo. Le sue scoperte vanno dai raggi X alla teleautomatica (arte di controllare dispositivi a distanza), dalle microonde alla telegeodinamica, dall’acceleratore di particelle alla rete di distribuzione wireless e molte altre ancora. Odierne aziende e multinazionali studiano e sviluppano tutt’ora le sue ricerche: i nomi vanno dalla Walt Disney Research alla Delta Avalon dal MIT alla Ceravison dalla Tesla Technology Collaboration alla Tesla Motors.
Gli odierni dibattiti sui limiti della scienza, sulla sua costante conflittualità con l’etica, sugli effetti nocivi subiti dal nostro corpo e dalla nostra mente esposti all’uso delle nuove tecnologie e biotecnologie, sulle frodi scientifiche che perseguendo esclusivamente fini monetari mettono da parte lo sviluppo dell’umanità e sullo sregolato sfruttamento delle risorse del nostro pianeta sono fondamentali sfide e grandi domande del nostro tempo. Se si pensa all’efficienza, alla produttività, alla precisione e alla puntualità delle macchine, l’essere umano ci appare insufficiente se non antiquato e bisognoso di protesi tecniche in grado di mantenerlo in vita, farlo viaggiare, farlo pensare e farlo parlare; sembra oramai che i nuovi talenti del futuro siano gli apparecchi creati più che la creazione in sé. Affrontando questo inquietante panorama NeedTeatro si affida per l’appunto al teatro come forma di conoscenza ed esperienza, alla parola detta e alla più alta tecnologia che dispone: il corpo allenato dell’attore. Ripercorrendo la prima metà della vita di Nikola Tesla lo spettacolo ci guida verso una possibile risposta che a sua volta è una profonda domanda: solo il lume tremolante della coscienza esposto al soffio del mondo può esserci d’aiuto, dal momento che la scienza è solo una perversione se non ha come fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità. L’intento non è quello di lanciare un messaggio, ma d’incitare il ragionamento critico attraverso l’uso d’una intelligenza divergente che ammette più risposte ad un medesimo problema. Uno spettacolo il cui stile si scosta dai canoni della documentaristica e della cronaca per giungere così alla vera e propria messa in scena dei principali personaggi incontrati da Tesla durante la sua vita: Thomas Edison, George Westinghouse e J.P.Morgan; i quali vengono presentati come le maschere del potere di quell’epoca. Difatti gli attori indossano vere e proprie maschere create ad hoc per ogni personaggio. Il testo originale ed inedito scritto in endecasillabi si presenta come un materiale letterario multiforme; gli stili linguistici vanno dalla saggistica, al dialogo, dal romanzo verista, alla poesia, dal dialogo al flusso di coscienza. Indagare le dinamiche creative e commerciali che portano all’invenzione e alla conseguente distribuzione delle nuove tecnologie e degli apparecchi di nuova generazione è un operazione culturale atta a delineare quale sia e dove sia il confine tra usare una macchina ed essere involontariamente usati da una macchina. Scoprire da dove e come nascono le scoperte scientifiche ci permette di riconnetterci con quella dimensione creativa e laboriosa che connota il pensiero razionale ed immaginifico dell’uomo e con la nostra stessa capacità di discernimento come esseri creatori e ingegnosi.
Sabato 1 giugno 2019 – Teatro Verdi – Muggia
Nessuna pietà per l’arbitro prod. Centro Teatrale MaMiMò
di Emanuele Aldrovandi
con Filippo Bedeschi, Luca Mammoli, Federica Ombrato, Alessandro Vezzani
regia Marco Maccieri e Angela Ruozzi
scene Antonio Panzuto
disegno luci Silvia Clai
costumi Rosa Mariotti
con la consulenza scientifica del prof. Marco Giampieretti
Spettacolo vincitore del Premio del pubblico Festival di Resistenza 2017
Spettacolo finalista InBox 2018
Spettacolo selezione Visionari Kilowatt Festival 2018
SINOSSI Una famiglia che vive per il basket. Una società post-ideologica, in cui sembra non riusciamo più a scegliere in base a principi di valore. Eppure scelte ne compiamo e continuamente. Ma in funzione di cosa? Giuseppe: storico, ricercatore universitario, mille euro al mese. Sta preparando un discorso per la celebrazione del 2 giugno, anniversario della Repubblica italiana, ma difficilmente riuscirà a scriverlo. Moglie: in dolce attesa, sarà licenziata non appena il suo datore di lavoro se ne accorgerà. Incoraggia il marito a scrivere il discorso convinta che sia un modo per avere successo e far quadrare i bilanci familiari. Figlio: disoccupato, a rischio neet, gioca a basket e ha dei seri problemi di gestione della propria collera. Arbitro: come hobby dirige partite di basket, di mestiere fa colloqui di lavoro. Una partita rissosa, un fallo non fischiato e un braccio rotto. Attorno alla figura dell’arbitro la triade dei protagonisti si allea, si accalora, collabora, si accanisce trasformando le situazioni conflittuali in conflitti di natura etica ed esistenziale. La questione “Arbitro” diventa strumento per sviluppare sulla scena, attraverso il meccanismo dello straniamento e il dialogo diretto con il pubblico, temi civili quali individualismo/bene comune, potere/anarchia, legge/libertà, idealismo/utilitarismo. E diventa occasione per Giuseppe per vedere “da fuori” la società in cui vive nel tentativo di cogliere una prospettiva storica all’interno del suo tempo, per riuscire a narrarlo. “E poi siamo sicuri che il nostro mondo sia davvero post-ideologico? Forse fra duecento anni i posteri guarderanno al passato e diranno che noi un’ideologia l’avevamo. Vedranno la legge che governava il nostro mondo, vedranno lo spirito della nostra epoca. E come lo chiameranno?” Tutto questo, passando da De Gasperi a Michael Jordan, da Togliatti a LeBron James…tra principi fondamentali e qualche tiro a canestro…
NOTE DI REGIA Un muro rosso. Una lavagna per appuntare i pensieri. Un ambiente nel quale si entra e si esce senza che si trasformi mai. Un playground, uno spazio di gioco, forse un salotto, forse uno spogliatoio. Questo lo spazio di messinscena di Nessuna pietà per l’arbitro, una parabola teatrale contemporanea in cui una tipica famiglia italiana del 2016, un’ipotetica microsocietà, gioca a basket e nel frattempo si interroga sul senso delle leggi e sui valori che regolano le proprie scelte. Le leggi si possono accettare come strada per costruire un mondo migliore, questo pensa Giuseppe, il padre; possono essere sfruttate a proprio favore per il successo personale, questo pensa Moglie; oppure sono un obbligo dettato dall’alto a punire l’espressione dell’io individuale, questo pensa Figlio. Questo conflitto con il tema della legge, qui esplicitato nei diversi personaggi, è a nostro parere insito nella coscienza dell’uomo contemporaneo. A cosa servono le leggi? I principi fondanti dai nostri padri costituenti sono ancora validi per noi? E noi potremmo scriverne di nuovi e migliori? La famiglia in scena, in assenza di un’immagine condivisa di futuro da consegnare “ai propri figli”, si “suicida” di un’abbondanza di conquiste personali. Ed è proprio l’arbitro, rappresentante della legge, a pagarne le spese. La vicenda famigliare e il problema “arbitro” diventa pretesto per sviluppare i conflitti etici: individualismo-collettività, potere-anarchia, potere-libertà, utilitarismo-bene comune, giusto-utile. Un percorso che ci sprona a interrogarci sulla natura del tempo presente e sulla necessità o meno di migliorarlo attraverso una visione condivisa di futuro.
Link trailer https://vimeo.com/220632912
Sabato 8 giugno 2019 – Ottagono – Codroipo
Finalista premio In Box 2019
In-Box è una rete di teatri, festival e soggetti istituzionali che seleziona e promuove alcune delle esperienze produttive più interessanti della scena emergente italiana.
In-Box definisce “emergenti” quelle compagnie le cui opere hanno un alto livello artistico a cui non corrisponde ancora un’adeguata visibilità presso pubblico, operatori e critica.
Per il primo anno, Muggia Teatro – Festival Estivo del Litorale partecipa ad In-Box ospitandone uno dei sei spettacoli finalisti.
Venerdì 14 giugno 2019 – Teatro Verdi – Muggia
Amy – storia di un naufragio – prod. Teatro delle Donne
liberamente ispirato al racconto Amy Foster di Joseph Conrad
testo Valerio Nardoni e Daniela Morozzi
con Daniela Morozzi
regia Matteo Marsan
musiche Stefano “Cocco” Cantini
voce Valentina Toni
scene e luci Beatrice Ficalbi e Matteo Marsan
costumi Laura Celesti
È il 1901 quando Joseph Conrad scrive Amy Foster, ma leggendo questa specie di incubo, l’impressione è che 116 anni siano passati invano. Allora erano emigranti che dall’est Europa volevano raggiungere in massa l’America, oggi sono Africani e Asiatici, forse ancora più affamati, ma disperazione, truffe, furti, scafisti e naufragi sono identici. Come tristemente uguali sono i cadaveri dei bambini sulle spiagge e quella incapacità di accettare lo straniero che scuote i valori della società mortalmente fissa in se stessa.
Yanko viene dai Carpazi ed è l’unico sopravvissuto di un intero bastimento andato a fondo stracarico di emigranti che hanno viaggiato in condizioni spaventose dopo aver pagato il viaggio a peso d’oro. Ma il viaggio è finito in fondo al mare, davanti alle coste dell’Inghilterra dopo un disgraziato speronamento notturno da parte di una nave che si dilegua senza soccorrere queste centinaia di disperati.
Yanko è bello, sa lavorare la terra, mungere le vacche, è religioso, impara l’inglese e addirittura salva da morte certa la nipotina di un ricco possidente inglese, ottenendo prima un salario, poi un piccolo appezzamento di terra, ma nulla di tutto questo gli basterà per essere accettato nella microscopica comunità del borgo di ferma.
Solo Amy, Amy Foster, una donna bruttina e solida, lo aiuta. Si innamora di lui e, contro la volontà di tutti, lo sposa. Mettono al mondo anche un figlio. Tutto bene quel che finisce bene? No, quello accade solo nelle fiabe e spesso neanche lì. Yanko canta, balla, prega a voce alta, è cattolico, qualità inaccettabili dentro l’opaca comunità delle selvagge coste britanniche: appare alla stregua di un pagano, una specie di stregone, forse un pazzo, molto probabilmente un demonio. Di sicuro uno straniero. E tanto basta per condannarlo.
Per stoltezza, Amy Foster lo salverà; per stoltezza, lo lascerà morire con la faccia nel fango.
Ma chi è a raccontarci questa storia e perché? Una giovane donna, quella stessa bambina che all’epoca dello sbarco di Yanko fu da lui salvata da morire nello stagno dei cavalli del vecchio Mr. Swaffer. Solo nei suoi occhi è possibile trovare una traccia luminosa di quello straniero e un ritratto giusto del mondo chiuso e inospitale dove egli era passato come una meteora destinata a scomparire nel nulla. La vicenda di Yanko è la storia di una tenace speranza infranta mille volte, infine sconfitta e caduta, ma che ha radicato nella terra come un seme.
Una violenta storia accaduta un secolo fa in Inghilterra, o forse proprio qui, da noi, questa notte.
Sabato 15 giugno 2019 – Teatro Verdi – Muggia
Clara Schumann – prod. Umjetnicka organizacija Caravan (HR) – PRIMA NAZIONALE
testo di Valeria Moretti
interpretazione e regia Ksenija Prohaska
Il monologo “Clara Schumann” scritto da Valeria Moretti, pubblicato dalla casa editrice La Mongolfiera in tre lingue (italiano, francese e croato) e interpretato da Ksenija Prohaska dischiude il complesso ed inquieto mondo interiore, professionale e familiare di una grande artista. Dalla penna dell’autrice del testo veniamo a sapere ciò che nessun biografo né critico musicale ci aveva mai detto e cioè che Clara Schumann non è stata la “moglie di Robert Schumann”, ma che lui era il marito di Clara Wieck Schumann!
Clara Schumann infatti fu una pianista famosissima ai suoi tempi, una delle più popolari dell’era romantica, una concertista molto richiesta e acclamata in tutto il mondo.
Nei dopoconcerti in giro per l’Europa nessuno sapeva chi fosse il suo accompagnatore, suo marito. “Ah, si occupa di musica pure lei?” chiedevano a Robert Schumann. Fu Clara coi suoi concerti a far scoprire il talento e l’innovazione delle composizioni di Robert, scomparso prematuramente a soli 46 anni nel manicomio di Bonn.
Un’opera originale che racconta la vita di una donna straordinaria che ha saputo tenere insieme l’essere donna e concertista, madre e moglie. Ksenija Prohaska, la più poliedrica e nota attrice croata, che veste di intensità e appeal ogni sua interpretazione (poco importa se in croato, inglese o italiano) ci svela con flash ricchi di poesia una vita, quella di Clara, vissuta intensamente fino alla fine.
Venerdì 21 giugno 2019 – Teatro Verdi – Muggia e Sabato 22 giugno 2019 – Ottagono – Codroipo
Fuori gioco di rientro – prod. Atto Due
di e con Andrea Mitri
regia Alberto Di Matteo
Fuorigioco di rientro è nel gergo calcistico il ricevere palla in posizione regolare ma provenendo da una situazione di fuorigioco al momento dell’inizio del passaggio.
Andrea Mitri, ex-calciatore professionista a livello anche di serie B ed attualmente tra le varie cose attore nell’ambito dell’improvvisazione teatrale, prova in qualche modo a rientrare in quello che è stato per molto tempo il suo mondo, vedendolo dalla posizione privilegiata di chi da quell’ambiente si è staccato ed ha nuovi strumenti per ricordarlo ed analizzarlo. Un ritorno solo apparentemente nostalgico, ma in realtà ricco della vitalità di chi rincontrando un ambiente conosciuto è in grado di coglierne con ironia esagerazioni e vezzi.
Utilizzando il teatro di narrazione, il cabaret, il lavoro sui personaggi e qualche brano di Shakespeare, l’attore, solo in scena, prova a raccontare per passaggi laterali la vita dell’immaginario Mirko Botteghi, calciatore troppo presto frenato dagli infortuni; cercando di regalare allo spettatore una visione dall’interno, di un mondo troppo spesso visto dall’esterno in maniera esaltativa oppure viceversa all’occorrenza denigratoria.
Ne esce un percorso divertente e divertito tra figurine probabilmente dismesse del calcio: da quella più nota di Gianni Rivera fino ad altre probabilmente sconosciute ma in grado di raccontare allo spettatore un mondo dove ancora non esistevano i campi di erba sintetica.
Un viaggio tra le persone a convalidare la tesi di Velasco, allenatore della nazionale di pallavolo brevemente prestato al calcio, secondo cui aldilà di tutto, il calcio rimane sempre un gioco in cui ventidue uomini in mutande si divertono ad inseguire un pallone.
Mercoledì 26 giugno 2019 – Teatro dei Fabbri – Trieste
Così parlò Monna Lisa – prod. Golden Show srl – Impresa Sociale in collaborazione con Teatro In Fabula – PRIMA NAZIONALE
testo e regia Antonio Piccolo
con Stefania Ventura e Melissa Di Genova e con Antonio Piccolo
scene Eleonora Scarponi
costumi Antonella Balsamo
aiuto costumi Roberta Blarasin
musiche Mario Autore
luci Marco Macrini
aiuto regia Marco Di Prima
Parigi, 14 giugno 1940. In una sala del Museo del Louvre, di notte, il noto dipinto di Leonardo Da Vinci conosciuto come “Monna Lisa” o “Gioconda” prende vita e parla apertamente con le altre opere d’arte che la circondano. Non senza ironia, si lascia andare a misteriose profezie di sventura, rimbrottando gli esseri umani. Non ha tutti i torti. Da fuori, infatti, si odono i rumori della guerra: fischi, bombe, urla. I nazisti sono alle porte della città, pronti ad invaderla.
Una bella ragazza, intanto, fa irruzione nel museo, entrando da una finestra. È Celestina Peruggia, figlia di Vincenzo, autore del celebre furto della Gioconda del 1911. La vivace ragazza lombarda è al Louvre per ripetere le gesta del padre: vuole rubare il famoso dipinto, per salvarlo dalle mire dei nazisti. Ma non ha fatto i conti con due casi eccezionali: uno, la Monna Lisa è lì, viva, in carne ed ossa, pronta a difendersi, spalleggiata da altre opere parlanti; due, nei corridoi del museo si aggira anche il direttore Jaujard, che dirige le operazioni di salvataggio e di trasporto di tutte le opere d’arte.
“Così parlò Monna Lisa” è un dialogo surreale e brillante, che passa con disinvoltura dal comico al drammatico, e viceversa; è un gioco che si rivolge a più destinatari, adulti e ragazzi, esperti e meno esperti; è uno spettacolo ritmato che comunica sia alla sfera intellettuale che a quella emotiva. Un pretesto per conoscere l’apice e il fondo dell’essere umano, per parlar del senso dell’arte, per usare il genio di Leonardo come arma contro le armi della guerra.
Venerdì 28 giugno 2019 – Ottagono – Codroipo e Sabato 29 giugno 2019 – Teatro dei Fabbri – Trieste
Isidoro – prod. Teatri Uniti
tratto da La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin di Enrico Ianniello
di e con Enrico Ianniello
direzione tecnica Lello Becchimanzi
un ringraziamento speciale a Fausta Slanzi
Isidoro è un ragazzino molto speciale, nato con una dote unica: fischia come un merlo!
Isidoro è nato in Irpinia, a Mattinella, nell’osso pezzillo d’Italia, da due genitori divertenti, strambi e poetici: dal simpatico Quirino che la mattina alle 6 si fa il bidet con l’Idrolitina, e dalla mamma Stella di Mare, eccelsa pastaia che la mattina alle otto alza la nebbia di farina per impastare. E, insieme al merlo indiano Alì, Isidoro inventa addirittura una nuova lingua!, ma una lingua fischiata, una lingua con tanto di fischiabolario, e cresce felice circondato da una combriccola di personaggi bislacchi e divertenti, dal chiattissimo Canzone all’unto e imbroglione Zonzo, che del paese è lu chiù stronzo.
Isidoro insegna a tutti la sua nuova lingua melodiosa, nella speranza di creare, a partire proprio da quella musica, un mondo più giusto; ma quando il sogno sta per trasformarsi in realtà, arriva il 23 Novembre del 1980.
E in soli novanta secondi, il terremoto chiude per sempre la gola e l’infanzia di Isidoro che da quel momento, rimasto muto e solo, col merlo e il fischio come unici compagni, dovrà crescere e farsi strada nel mondo.
Passando dal riso alla commozione, il reading di Enrico Ianniello ci porta in un paesino divertente e strambo, fermo nel tempo, del quale sentiamo nostalgia appena torna il buio sulla scena. E rimane nel cuore la possibilità di fischiare un mondo migliore, più poetico, meno cinico e disincantato di quello che abitiamo.
Mercoledì 3 luglio 2019 – Teatro dei Fabbri – Trieste
Gianni
ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di e con Caroline Baglioni
regia Michelangelo Bellani
supervisione alla regia C.L.Grugher
Progetto vincitore del Premio Scenario per Ustica 2015
Spettacolo vincitore del Premio In-Box Blu 2016
Premio Museo Cervi – Teatro per la Memoria 2017
NOTE ARTISTICHE Avevo circa tredici anni. Mio padre tornò a casa e disse che era arrivato il momento di occuparci di Gianni. Era un gigante Gianni. Alto quasi due metri, ma a me sembravano tre e nella mia mente è un film in bianco e nero.
Gianni sembra oggi un ricordo lontano, ma era lontano anche quando c’era.
Era lo zio con problemi maniaco-depressivi che mi faceva paura. Aveva lo sguardo di chi conosce le cose, ma le ripeteva dentro di sé mica ce le diceva. Fumava e le ripeteva dentro di sé. Gianni non stava mai bene. Se stavamo da me voleva tornare a casa sua. Se stava a casa sua voleva uscire. Se era fuori voleva tornare dentro. Dentro e fuori è stata tutta la sua vita. Dentro casa. Dentro il Cim. Dentro la malattia. Dentro al dolore. Dentro ai pensieri. Dentro al fumo. Dentro la sua macchina.
E fuori. Fuori da tutto quello che voleva.
Non aveva pace Gianni. Ogni centimetro della sua pelle trasudava speranza di stare bene. Stare bene è stata la sua grande ricerca. Ma chi di noi non vuole stare bene?
Nel 2004 in una scatola di vecchi dischi, ho trovato tre cassette. Tre cassette dove Gianni ha inciso la sua voce, gridato i suoi desideri, cantato la sua gioia, detto la sua tristezza.
Per dieci anni le ho ascoltate riflettendo su quale strano destino ci aveva uniti. Un anno prima della mia nascita Gianni incideva parole che io, e solo io, avrei ascoltato solo venti anni dopo. E improvvisamente, ogni volta mi torna vicino, grande e grosso, alto tre metri e in bianco e nero. (Caroline Baglioni)
NOTE DI REGIA Quando Caroline, mi ha fatto ascoltare per la prima volta le audiocassette di Gianni, ho subito pensato a un progetto teatrale che dovesse raccontare questa storia. La storia di un uomo e di un’epoca. E la storia di un legame. L’epoca è quella dei favolosi anni ‟80. (Le tre cassette ritrovate vengono incise a più riprese fra il 1984 e 1986). Ci siamo a lungo interrogati sul perché avesse inciso quei nastri. Per lasciare un segno del suo passaggio? Per riascoltarsi e scoprire cosa c’era nell’abisso di sé? Per esorcizzare la paura di vivere? È un flusso di coscienza, ironico, intelligente, drammatico, commovente che si muove a picchi infiniti fra desiderio di vivere e morire con la stessa forza e disperazione. Ma la vera potenza evocativa del suo linguaggio è quella di portarci spontaneamente dentro ciascuna delle nostre esistenze e in fin dei conti renderci conto che tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti come Gianni.
E allora verrebbe da chiedersi se alla fine, oltre la morte, questo portare fuori, questo ripetere autenticamente i suoi pensieri, faccia vivere e rivivere Gianni come un’anima nuova che attraversa le vite di chi guarda, trovando nell’ascolto il riscatto di un’esistenza e se tutto questo sia giusto da esternare. Forse, non lo sarebbe se a ritrovare quei nastri fosse stato qualcun altro. Ma in fondo credo che fra Caroline e Gianni ci fosse qualcosa come un appuntamento.
Gianni è la storia di questo legame profondo, di un viaggio fra le tracce autentiche delle parole e di un percorso umano “troppo umano” universale per dirci che: «Parlare non uccide… cioè può uccidere una persona, me stesso, ma nessun altro… Stop.» (Michelangelo Bellani)
Link Trailer https://www.youtube.com/watch?v=wFZ5NQc0rdk&t=2s
Giovedì 4 luglio 2019 – Ottagono – Codroipo
Sempre Verde
di Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani
con Caroline Baglioni e Christian La Rosa
luce Gianni Staropoli
suono Valerio Di Loreto
aiuto regia Marianna Masciolini
drammaturgia del movimento Lucia Guarino
regia Michelangelo Bellani
con il sostegno del Teatro Stabile dell’Umbria
residenze Centro Umbro Residenze Artistiche/Centro Teatrale Umbro
si ringrazia Spazio Zut
Il terzo elemento della Trilogia dei legami affronta quello che forse è il più complesso e affascinate tra i rapporti di sangue: quello tra Sorella e Fratello. Anche in questo caso le vicende interiori dei protagonisti sono emblema di un’epoca, quella contemporanea, e assumono un valore generazionale, i personaggi infatti incarnano sentimenti diffusi e contraddizioni del nostro tempo.
#DIVERSECONTEPORANEITÀ #ZEITGEIST #TEMPOMITICODELLAMEMORIA
Anche la Figlia e il Padre protagonisti del secondo capitolo della trilogia si muovevano nell’epoca contemporanea, ma in questo caso il rapporto fra i due protagonisti è molto più diretto, frontale, poiché non c’è una distanza generazionale e un rapporto di discendenza; la relazione tra i due Fratelli è totalmente interscambiabile e legata al presente, seppur lo zeitgeist, lo spirito del tempo, risulti ancora, per i due protagonisti, in bilico fra un passato ‘ormai’ perduto e un futuro ‘ormai’ compromesso, ferito, negato. Il loro confronto non può rivolgersi a nessun altro se non a sé stessi, in quanto co-responsabili del mondo e del modo in cui hanno scelto più o meno consapevolmente di vivere.
Ed ecco intervenire allora tra loro, anche un altro tempo, che potremmo definire tempo mitico della memoria e dell’inconscio, fatto di ricordi, sogni e illuminato dalla purezza del desiderio; un tempo originario, precognito, sospeso, nel quale Fratello e Sorella pur non essendone pienamente coscienti, vanno alla ricerca, a patto che esista, del senso più profondo del loro legame. In questo tempo lunare in cui sembra possibile condividere gli spazi inaccessibili dell’intimità i due fratelli vanno alla ricerca delle loro reciproche identità, parlando una lingua fanciullesca, ilare, poetica.
#RADICI#PROGRESSO#RADICI#TABÙ#NATURA#RADICI#RADICI#RADICI#RADICI#RADICI
A margine del progetto drammaturgico c’è inevitabilmente, come luogo (topos) del sentimento collettivo, l’Antigone e il rapporto con il fratello Eteocle.
Anche nelle vite dei nostri due Fratelli infatti, c’è una tensione sotterranea che riguarda l’idea del progresso umano, dell’infrazione dei tabù, delle leggi dello Stato e della natura, la spinta del progresso con cui l’uomo migliora le proprie condizioni di vita e contemporaneamente gli effetti involutivi negativi a cui sembra retrocedere; una tensione probabilmente irriducibile nella storia dell’umanità.
Ma seppur antica, l’idea distopica del regresso dell’umanità, è un sentimento inedito per questa generazione.
#NULLA?#TUTTO?#SPAESAMENTO#NULLA?#TUTTO?#NULLATUTTO!
Quest’argine sempre più strutturato delle loro vite, li ha portati a vivere uno spaesamento ideologico ed esistenziale nel quale hanno imparato a muoversi agilmente, più o meno coscienti degli strati interni che si andavano componendo, più o meno consapevoli dei propri desideri, delle proprie tensioni interiori. Ciò ha fatto nascere un neologismo che definisce una condizione esistenziale molto radicata diventata il loro habitat naturale: il nullatutto. La ricerca del nullatutto, è ormai onnipresente.
La generazione dei due fratelli è frutto delle scelte che altri hanno fatto per loro e non si riconosce, non si trova e smette anche di cercarsi, perché tutto appare compromesso e ingiudicabile.
In questo magma, in questo sottovuoto, i due protagonisti venticinque/trentenni nuotano, si rotolano, cercano, e come in uno specchio trovano sé stessi nell’altro, in chi ha nelle vene qualcosa di ancestrale e imprescindibilmente condiviso, il sangue.
«LEI: Quindi forse moriresti per vendicarmi… quindi non ne sei sicuro? Quindi non te la sentiresti di morire per me?
LUI: Beh, ne dovrebbe davvero valere la pena. Insomma… non per togliere niente al nostro rapporto ma/
LEI: Per cosa varrebbe la pena morire oggi secondo te?
LUI: Ma che domanda è? Ti sei svegliata male?»
Ma il sangue con le sue eterne contraddizioni e misteriose, implicazioni è davvero l’unico retaggio possibile?
LEI: Io non voglio tornare indietro. Voglio qualcosa che sia solo mio. Solo per me. Non una cosa qualunque che torni dal passato.
Domenica 7 luglio 2019 – Ottagono – Codroipo
Piccola Patria – prod. Capo Trave – Infinito
di Lucia Franchi e Luca Ricci
regia Luca Ricci
con Simone Faloppa, Gabriele Paolocà e Gioia Salvatori
La frammentazione in piccole patrie è uno dei fenomeni del nostro tempo: tendiamo a pensare che i lontani organismi nazionali e sovranazionali non siano in grado di comprendere i nostri bisogni e interessi. Così, prendono corpo le idee di tanti localissimi staterelli regionali o anche più piccoli, basati su diffidenze e antiche rivendicazioni sovraniste.
A noi è tornata in mente la storia dell’antica Repubblica di Cospaia: al confine tra Toscana e Umbria, a un paio di chilometri da Sansepolcro, c’è questa piccola frazione che, per un errore congiunto nel tracciamento dei confini da parte dei geografi della Repubblica di Firenze e dello Stato Pontificio, dal 1440 al 1826, è stata una repubblica indipendente. Era una striscia di terra lunga due chilometri e larga 500 metri, che non doveva pagare tasse a nessuno, senza esercito, né carceri. Per anni è rimasto vivo uno spirito indipendentista pieno di velleità e diffidenze verso l’esterno.
Abbiamo scritto un testo per tre attori, ambientato nel nostro presente, diviso in tre parti, cioè il giorno prima, il giorno stesso e il giorno successivo a un referendum locale dove si chiede agli abitanti di un luogo non specificamente identificato se vogliono staccarsi dall’Italia e proclamare di nuovo l’indipendenza della loro antica Repubblica.
Ne emergono conflitti familiari e vari livelli di disgregamento, perché quando si rompe qualcosa, altri cocci si vengono a creare incidentalmente, e ogni lacerazione ne porta altre, anche nei rapporti tra le persone o interni alle persone stesse.
Nella nostra storia ci sono un fratello e una sorella, c’è un giovane uomo che con questa sorella ha un passato misterioso, ci sono fatti violenti che riemergono da lontano, ci sono speranze future e tradimenti che scombinano i rapporti sociali e personali, mentre la politica porta scompiglio nella vita quotidiana delle persone.
Venerdì 12 luglio e Sabato 13 luglio 2019 – Ottagono – Codroipo
Il Cappellaio prod. Tinaos/Casa del Contemporaneo – PRIMA NAZIONALE
liberamente ispirato ad Alice di Lewis Carroll
di Linda Dalisi
con Fabio Pasquini, Sabrina Jorio, Peppe Papa
musiche Alberto Falco
disegno luci Omar Scala
costumi Sara Berto
realizzazione scena e oggetti di scena Enrico de Capoa e Mauro Varchetta
aiuto regia Alessandro Chini
collaborazione al testo Luca Dalisi
drammaturgia, ideazione spazio scenico e regia Tommaso Tuzzoli
Vivere Alice senza Alice, scegliendo il punto di vista di un Cappellaio che cerca di ritrovare la memoria perduta di un paese delle meraviglie che non c’è più.
Il Cappellaio ha mai provato meraviglia in quel paese?
Ma qual è la meraviglia? Cos’è?
Dove si rintraccia?
La Regina di cuori, il Gatto e il Cappellaio abitano agevolmente un territorio del nonsense alla ricerca di un linguaggio del tempo andato.
I tre rivivono tracce di Alice, come se ogni più piccolo frammento che ha costituito quel mondo fosse diventato il loro alfabeto.
Info: www.muggiateatro.com
Biglietti 26° edizione Muggia Teatro – Festival Estivo del Litorale
intero 10 euro; ridotto 8 euro over 65, giovani under 26, ridotto soci Coop; ridotto 5 euro Studenti Universitari
Per acquistare i biglietti:
http://www.vivaticket.it/
TICKETPOINT Corso Italia, 6/C Trieste +39 040 3498276
LA RAMBLA VIAGGI C.so Puccini 21/b Muggia +39 040 271754
TEATRO VERDI DI MUGGIA Via San Giovanni 4, Muggia (un’ora prima dello spettacolo)
TEATRO DEI FABBRI via dei Fabbri, 2/A, 34124 Trieste (un’ora prima dello spettacolo)
CENTRO CULTURALE POLIFUNZIONALE OTTAGONO, Via G. O. Marinelli, 6, 33033 Codroipo (UD)
Info e prenotazioni – Muggia e Trieste tel.+39366 2299602 info@tinaos.com
Info e prenotazioni – Codroipo tel.+39388 1797104 – info@tinaos.com
Info e prenotazioni – Laboratorio di Drammaturgia
chiusura iscrizioni 24 giugno 2019
info@tinaos.com – +393881797104
MUSICA – ingresso libero
DOPOFESTIVAL 2019 a cura dell’Associazione Ottagono e Osteria alle Risorgive di Codroipo
Sabato 8 giugno 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Finalista premio In Box 2019
a seguire
DOPOFESTIVAL con FestOn – free live music fest
presso gli Impianti Base di Codroipo
Sabato 22 giugno 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Fuori gioco di rientro
a seguire
DOPOFESTIVAL con FestOn – free live music fest
presso gli Impianti Base di Codroipo
Venerdì 28 giugno 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Isidoro
a seguire
DOPOFESTIVAL all’OSTERIA ALLE RISORGIVE
con Sol Maggiore Cabaret e Cabernet – musica dal vivo 5a ed.
presenta
Confusione duo acustico
voce e pianoforte
Giovedì 4 luglio 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Sempre Verde
a seguire
DOPOFESTIVAL all’OSTERIA ALLE RISORGIVE
con Sol Maggiore Cabaret e Cabernet – musica dal vivo 5a ed.
presenta
Baldo e i giovani
trio frizzante
Venerdì 12 luglio 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Il Cappellaio
a seguire
DOPOFESTIVAL all’OSTERIA ALLE RISORGIVE
con Sol Maggiore Cabaret e Cabernet – musica dal vivo 5a ed.
presenta
Faidutti Malusà
duo chitarre e voce
Sabato 13 luglio 2019 ore 21,00 – Ottagono – Codroipo
Il Cappellaio
a seguire
FESTA DI CHIUSURA FESTIVAL presso OTTAGONO