di Ennio Silvano Varchetta:
L’adolescenza è una fase della vita molto particolare e per certi versi complessa; dal latino “adolescere” = “crescere”. Durante questo periodo di transizione della vita che segue la fanciullezza e precede l’età adulta e che convenzionalmente va dagli 11 ai 18 anni per le femmine e dai 14 ai 21 anni per i maschi, avviene un vero e proprio rimodellamento del cervello, con modificazioni a livello delle connessioni sinaptiche e della corteccia cerebrale: è un vero stravolgimento che porta con sé dei compiti evolutivi molto complessi e il cui esito dipende in gran parte dall’equipaggiamento acquisito durante l’infanzia.
Il ragazzo deve affrontare quello che viene chiamato “secondo processo di separazione-individuazione”: secondo, perché già durante la prima infanzia il bambino ha dovuto separarsi dalla fusione con la mamma per iniziare a crearsi come individuo separato. In adolescenza il compito principale riguarda l’identità: si tratta di un’identità nascente, in cui si gettano le basi per quello che si vorrà essere da adulti. Per potersi individuare, e dunque creare una propria identità, l’adolescente deve potersi separare dai suoi genitori: ma come ci si può separare da un qualcosa che amiamo alla follia e da cui sentiamo di dipendere? Ecco brevemente spiegato il famoso “conflitto adolescenziale”, quel periodo complesso in cui i giovani si ribellano ai proprio genitori, sbattono le porte, urlano parole cariche di odio… questi momenti, cosi dolorosi per un genitore, sono un in un certo qual modo un tentativo del figlio di distaccarsi dal genitore, di affermare il suo essere autonomo, separato, non più totalmente dipendente da chi lo ha messo al mondo. Ci si allontana dai genitori, mossi dalla paura, inconscia, di poter “tornare indietro” e ci si avvicina ai coetanei, principale modello di identificazione. Gli adolescenti spesso sono accusati di essere tutti uguali, di indossare gli stessi abiti, di parlare allo stesso modo e di fare le stesse cose. Quello che da adulti viene spesso confuso con il conformismo è per l’adolescente una rassicurazione per la creazione della sua, ancora incerta, identità: il senso di appartenenza permette loro di avere la forza necessaria per il distacco dal nucleo familiare senza sentirsi troppo soli in questa fase, l’ideologia o lo stile a cui aderiscono sono una sorta di contenitore per un’angoscia di frammentazione che spesso sentono di provare, senza sapersene dare una ragione.
L’adolescenza di oggi è un’adolescenza che inizia sempre prima e finisce sempre dopo, già sul finire della scuola elementare i bambini, e soprattutto le bambine, sembrano delle piccole donne. La sessualità da dormiente diviene vivace e l’ingresso nell’adolescenza avviene molto più rapidamente di qualche decennio fa. I compiti evolutivi sono anticipati in una struttura non ancora pronta per affrontarli, le tappe forse bruciate portano al bisogno di evasione per contrastare quel sentimento di noia e di “già fatto” che preclude il piacere della scoperta.
Gli adolescenti di oggi hanno anche 22/25 anni e sono figli di una società liquida, come la definì il grande sociologo Bauman, dove si vive l’amore liquido: un amore diviso tra il desiderio di emozione e la paura del legame. Ciò che accomuna tanti di questi ragazzi è proprio questo, la paura di avvicinarsi all’altro ma al contempo il desiderio di farlo. Il contesto attuale ha piano piano smantellato i propri garanti sociali, rappresentati per anni dallo Stato, dalla Chiesa, dall’ideologia politica e ha modificato i propri riti di passaggio da una fase all’altra della vita: questo ha ridotto, e in alcuni casi annullato, la distanza tra le generazioni, rendendo molto più difficile per i ragazzi di oggi la separazione di cui parlavamo prima e dunque la loro individuazione. Sono giovani molto fragili dal punto di vista narcisistico, arrabbiati e spaesati, che chiedono di essere ascoltati.
Questi ragazzi hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a dar voce alle loro sofferenze, accogliendole, senza etichettarle. Il paradosso è fornire ad una persona alla ricerca di domande “solo” ascolto e non risposte: lo spazio dell’ascolto interiore è quello che spesso fa maggiormente soffrire e, per fuggire al sentire, gli adolescenti agiscono, mettono in scena i loro vissuti. Stare in ascolto fornisce uno spazio in cui si può stare e sentire, perché non si è soli, senza necessariamente bisogno di agire, uno spazio dove la loro sofferenza per la fatica di crescere, di crearsi un’identità, di rispondere alla molteplici domande che si fanno viene accolta e legittimata. L’ascolto dunque, che tante volte sottovalutiamo è molto importante in questa delicata fase della vita: accogliere, ascoltare e trovare insieme eventuali soluzioni. Semplici ma fondamentali accorgimenti che in tante vite fanno la differenza.
Ennio Silvano Varchetta Docente – Giornalista pubblicista