Sta raccogliendo migliaia di messaggi di sostegno il post pubblicato su Facebook dallo
scrittore Maurizio De Giovanni che torna a parlare al mondo dei
suoi affezionati lettori dopo l’infarto che lo ha colpito lo
scorso 13 luglio.
“Batte. Batte ancora. Non che abbia mai smesso, naturalmente.
Diciamo che a un certo punto – scrive De Giovanni parlando del
suo cuore – s’e’ inventato una storia, e mentre me la raccontava
si e’ cosi’ tanto immedesimato da diventare un po’ troppo
realistico.
Ha detto: immaginiamo che decida di fermarmi. Che questo velo di
sudore freddo, questo senso di oppressione che senti in petto,
questo dolorino scemo in mezzo alle scapole sia l’inizio di un
processo irreversibile. Che succeda proprio qui, nel luogo che
ti e’ piu’ caro, esattamente dove vorresti essere, all’interno
dell’aria che ha appena respirato chi ami di piu’ . Che succeda
come hai in fondo sempre desiderato, senza lunghe battaglie,
senza perdita di dignita’ e di autonomia, con una sofferenza
limitata nel tempo e tutto sommato discreta, senza agonie. Che
succeda adesso, che hai vissuto abbastanza da ridere e piangere,
che chi ami non dovra’ combattere con le avversita’ e potra’ vivere
sereno. Immaginiamo questo, mi ha detto. Che succeda come un
fulmine, abbagliante e immediato, alle soglie del declino e
della perdita di forza”.
“Mentre mi raccontava la sua storia, man mano piu’ realistica, e
l’auto correva verso l’ospedale e l’infermiera geniale diceva
codice rosso avendomi solo guardato in faccia da venti metri,
mentre si completava il viaggio verso un luogo di assoluta
eccellenza e professionalita’ , mentre attorno a me ognuno sapeva
con esattezza quello che doveva fare, in una coreografia
perfetta che era un inno alla competenza, mi chiedevo – dice De
Giovanni – il perche’ dell’assenza della paura”.
“Avvertivo piuttosto una strana malinconia, una specie di
assurda nostalgia del futuro. Un senso di cose perdute, un vago
scrupolo, come quando ci si addormenta vinti dalla stanchezza
avendo ancora qualcosa di importante da fare. E dietro la fila
perfetta dei camici verdi e delle mascherine e dei cappellini,
sotto il grande schermo sul quale il Professore studiava i
flussi e le barriere da abbattere, ho intravisto un gruppo di
spettatori interessati sul cui volto c’era la mia stessa
nostalgia triste. Uno aveva gli occhi obliqui, e i lineamenti
orientali. Una i capelli grigi e lo sguardo attento. Un’altra le
labbra strette e gli occhi fieri, e un corpo che non dovrebbe
entrare in un reparto di cardiologia. E altri ancora, un
brigadiere corpulento, una sciantosa con un velo di barba, un
ragazzo con gli occhiali azzurrati e una camicia hawaiana;
perfino uno grosso con un cagnone immenso al guinzaglio. Finche’
dal gruppo si e’ staccato uno, con un soprabito fuori moda, che
si e’ avvicinato e mi ha sussurrato: no. Non se ne parla. Non
ancora. Gli ho fissato gli occhi verdi e mi sono stretto nelle
spalle. Non e’ mia questa storia, gli ho detto. Parla con lui. In
quello stesso momento il Professore ha detto: ecco qua. Tutto a
posto. E lui, il cuore, ha sorriso e ha detto: pero’ era una
bella storia. Da tenere a mente. No?”
“Si’ , forse era una bella storia. Forse e’ quella giusta, che
prima o poi ci racconteremo. Ma grazie a quella coreografia
d’eccellenza per ora il finale e’ diverso. Ed e’ cosi’ diverso che
ho potuto leggere le migliaia di messaggi, ai quali mi
perdonerete se non rispondo singolarmente rinviando l’abbraccio
e le risate e le lacrime agli incontri che avremo di persona,
perche’ la vita riprendera’ come prima, perche’ cosi’ deve essere.
Quello che dovevo dirvi oggi e’ che batte. Batte ancora.
E batte per le stesse cose di prima, una citta’ azzurra e
disgraziata, e un popolo allegro e malinconico che mi raccontano
storie.
Storie che forse, e dico forse, mi hanno salvato la vita”,
conclude De Giovanni.