Al suo fianco, nelle ultime giornate dedicate al ricordo e all’affetto della gente del cinema ma anche e soprattutto della gente comune, ci sara’ Roberto Russo, amico, compagno, marito con cui ha diviso un lungo tratto di
vita, forse il piu’ difficile, certamente quello piu’ scelto e
ammantato dalla tenerezza. Ma la vita di Monica Vitti, anzi
sarebbe piu’ giusto dire quella di Maria Luisa Ceciarelli visto
il riserbo con cui ha sempre difeso tenacemente la sua vita
privata, e’ stata una lunga storia d’amore, marcata da scelte che
ha sempre voluto e protetto. Era ancora una ragazza alle prime
armi, diplomata all’Accademia d’arte drammatica nel 1953, quando
la noto’ Michelangelo Antonioni, stregato da quella voce
gutturale e unica che sentiamo anche in “I soliti ignoti” o
“Accattone”. Il regista ferrarese fu subito deciso nel chiederle
di doppiare Dorian Gray ne “Il grido” (1957). La loro storia,
una passione intensa che le avrebbe cambiato la vita, cominciava
poco dopo e avrebbe dato inizio a un sodalizio artistico che
impresse una svolta nel cinema mondiale, da un film all’altro
nel cuore degli anni ’60. Erano una “coppia regina”, ed e’ forse
superficiale rinchiudere quegli anni definendo Monica una “musa”
silente a fianco del grande artista. Antonioni era esclusivo e
possessivo anche come pigmalione, ma Monica comincio’ ad
allontanarsi artisticamente gia’ poco dopo, restando invece
legata al suo maestro e trasformando poco a poco l’amore in
amicizia e stima reciproca. Dalla fine degli anni ’60 la bionda
icona della nuova femminilita’ si trasforma come una crisalide in
farfalla e nel fiorire del suo talento c’e’ sicuramente la mano
del direttore della fotografia che gia’ l’aveva immortalata in
“Deserto rosso”: Carlo Di Palma. Il legame con quell’uomo dolce
e silenzioso, tanto diverso da Antonioni, si tramuta in amore
nel corso degli anni e ci mostra una donna che si e’ ormai
emancipata, che sceglie e si apre alla vita col sorriso. Quella
con Carlo Di Palma e’ una storia tutta “romana”: figlio di piazza
di Spagna lui, figlia della Roma del dopoguerra lei. I due
attraversano gli anni ’70 sotto braccio ed e’ Monica – che gia’
mostrava uno straordinario talento nel far emergere le qualita’
degli altri – a spingerlo dietro la macchina da presa facendo
del maestro delle luci anche un disinvolto regista, capace di
assecondare al meglio in tre film la verve della sua compagna,
sulla scena come nella vita privata. Ed e’ ancora su un set,
all’inizio degli anni ’80, che Monica compie il suo capolavoro:
in silenzio, senza proclami, abbatte un antico tabu’ italico:
conosce un ragazzo, romano come lei, che si sta facendo strada
nel cinema come fotografo di scena. Roberto Russo e’ poco piu’ che
trentenne quando fa a sua volta il grande passo debuttando come
regista per un copione ideato e scritto a quattro mani con la
diva ormai incontrastata di Cinecitta’ . Alla sceneggiatura
collabora anche Silvia Napolitano e il film, “Flirt” (1983),
vince il David di Donatello come miglior opera prima. Roberto e
Monica non si lasceranno piu’ nonostante la grande differenza
d’eta’ in cui la parte giovane della coppia e’ , per una volta,
l’uomo. La storia d’amore, coronata dal matrimonio il 28
settembre 2000 dopo 17 anni di fidanzamento, ha attraversato
quasi 40 anni senza clamore, senza pettegolezzi, senza apparenti
colpi di scena. E nel lungo periodo in cui Monica Vitti e’
scomparsa dalle scene Roberto le e’ sempre stato al fianco, come
sara’ questa settimana. Una storia d’amore fatta spesso di
silenzi e di sguardi, ma tanto bella e intensa da sembrare una
favola. Anche questo e’ il regalo che oggi ci lascia l’antidiva
per eccellenza: saper vivere senza ostentare, saper amare senza
far parlare di se’ . Ci vuole un grande compagno per ottenere
tutto questo. Si deve dire che il finale e’ degno della piu’ bella
delle commedie romantiche.
La camera ardente aperta anche sabato mattina