Niente carcere per i giornalisti che ‘commettono’ diffamazione, a meno che non si tratti di vere e
proprie campagne di disinformazione, di fango nel ventilatore
messo – non importa se su carta stampata, in tv o nel web –
nella consapevole malafede della sua falsita’ . E’ l’approdo al
quale e’ arrivata la Corte Costituzionale con la sentenza 150
depositata oggi, relatore Francesco Vigano’ , e in parte
anticipata lo scorso 22 giugno dalla stessa Consulta. Dunque,
nei confronti dei cronisti, l’ipotesi di finire in cella – in
via residuale – rimane in vigore ma e’ ‘relegata’ a casi
veramente gravi di compromissione della reputazione, nei quali,
ad esempio, viene alterato un risultato elettorale. Questo il
cuore delle motivazioni del verdetto con il quale i giudici
delle leggi hanno dato una bella picconata – in attesa di una
riforma invano attesa e auspicata – ad alcune delle norme sulla
liberta’ di stampa datate 1948.
“Chi ponga in essere simili condotte, eserciti o meno la
professione giornalistica, – scrive Vigano’ – certo non svolge la
funzione di ‘cane da guardia’ della democrazia, che si attua
paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di
verita’ ‘scomode’; ma, all’opposto, crea un pericolo per la
democrazia”, anche per i possibili effetti distorsivi di tali
condotte sulle libere competizioni elettorali.
Ritengono – i giudici presieduti da Giancarlo Coraggio – che
le norme che obbligano il giudice a punire con il carcere la
diffamazione a mezzo stampa o tv, aggravata dall’attribuzione di
un fatto determinato, sono incostituzionali perche’ contrastano
con la liberta’ di manifestazione del pensiero, riconosciuta
dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo. La minaccia dell’obbligatoria applicazione del
carcere, secondo la Consulta e’ ‘nefasta’ : puo’ produrre
l’effetto di dissuadere i giornalisti dall’esercizio della loro
“cruciale funzione di controllo dell’operato dei pubblici
poteri”.
In particolare, la Consulta si e’ pronunciata su due questioni
sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari, trattate nel
giugno dello scorso anno. In quell’occasione, il Giudice delle
leggi aveva deciso, con l’ordinanza n. 132 del 2020, di rinviare
di un anno per dar modo al legislatore di approvare una nuova
disciplina. Ma l’inerzia ha prevalso e cosi’ la Corte ha ora
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 13 della
legge sulla stampa (n. 47 del 1948), che prevedeva la necessaria
applicazione della reclusione da uno a sei anni per il reato di
diffamazione commessa a mezzo della stampa e consistente
nell’attribuzione di un fatto determinato. La sentenza ha
dichiarato illegittimo anche l’articolo 30, comma 4, della legge
n. 223 del 1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato,
che estendeva le sanzioni previste dall’articolo 13 della legge
sulla stampa alla diffamazione per mezzo della radio o della
televisione.
Se e’ vero che il diritto di cronaca e di critica “costituisce
pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non e’ men vero
che la reputazione individuale e’ del pari un diritto
inviolabile, strettamente legato alla dignita’ della persona”.
Pertanto, “aggressioni illegittime a tale diritto”, compiute
attraverso la stampa, la radio, la televisione, le testate
online e i siti internet in generale, i social media e cosi’ via,
“possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare,
sociale, professionale, politica delle vittime”. Per questo
rimane la cella per le fake news che in malafede hanno
l’obiettivo di inquinare i pozzi in ‘terreni’ di particolare
pregio.