A Caserta è stato rappresentato uno dei capolavori dello scrittore drammaturgo Manlio Santanelli classe 1938 eccelso autore di molti testi teatrali dell’ultimo novecento. Lo spettacolo promosso dal coraggioso Gianni Genovese “ Management” , è stato diretto dalla ottima regia dell’attore Giovanni Esposito che ha messo in scena e sapientemente condotto, una passionale Susy Leonida del Giudice ed un altrettanto ottimo Giulio Cancelli.
Il Baciamano è “commedia dura” che rappresenta un oscuro periodo della storia, la Rivoluzione Partenopea del 1799, un evento che ha segnato molto Napoli, perché ha dimostrato l’impossibilità di comporre la società in delle classi che potessero in qualche modo comunicare tra loro. La tragica rivoluzione fu un evento sanguinario che, in un primo momento, sfruttò la rabbia bruta della plebe nell’intento di cacciar via il re Ferdinando I , poi , successivamente, ci si rese conto che la plebe non aveva un’ideologia, ma era stata usata, per cui nello stesso modo in cui si era rivoltata nei confronti del re, poteva farlo verso i rappresentanti della Repubblica. La plebe non era il popolo: il popolo possiede un’idea dello Stato, ma la plebe è un sottoproletariato senza alcuna idea politica.
Infatti in un secondo tempo, questa plebe si rivolta contro i giacobini per motivi religiosi: questi ultimi, infatti, volevano laicizzare il Regno di Napoli così come avevano fatto per la Francia in seguito alla Rivoluzione. I giacobini divennero dei mangiapreti. La Chiesa che aveva fatto una scelta avanzata, mettendosi dalla parte della Repubblica, cercò di conquistare alla causa libertaria la plebe, traducendo il vangelo in napoletano.
Il tema del cannibalismo interviene ne “ Il baciamano” in modo realistico infatti è l’estremo punto del sentimento della possessività.
La storia è ambientata nella città di Napoli sullo scorcio del Settecento narra dell’incontro tra due personalità lontane, che vivono dimensioni diametralmente opposte. Due universi in contrasto e piegati dalle vicissitudini di una realtà storica determinante per i loro destini. Lei è Janara, giovane popolana e donna avvilita da una esistenza tracciata dalla miseria e dalla brutalità del marito che le annienta ogni dignità umana confinandola al solo ruolo di procreatrice, domestica e omicida; lui un soldato giacobino, nobile, che con coraggio conserva i suoi ideali illuministi e difende i valori di una vita militare legata al rispetto, all’onore e alla dignità, imprigionato dal marito di lei.
Janara, carceriera di giacobini che vengono tagliati e mangiati, secondo atti di cannibalismo documentati nella storia di Napoli. Due classi a confronto che si ritrovano in uno stesso ambiente: unico legame la storia e l’atto del “Il Baciamano”.
Il giovane giacobino incaprettato, con linguaggio forbito, instaura una conversazione con la sua carceriera: come rivolgersi ad una donna di cui non conosce neanche il nome? L’unico appellativo che la protagonista ricorda è “Janara”: così la chiamavano da tempo.
Il ricchissimo testo ha più collocazioni , da un lato la vita e la vicenda privata della donna, dall’altro, nel momento in cui si trova a contatto con il giacobino, Janara diventa personaggio portatore di tematiche universali. L’apparente frivolezza ed esibizionismo della popolana che per una volta chiede “il baciamano” di un nobile, sottende non solo l’intima psicologia della donna e la sua voglia di una vita diversa, ma eleva il gesto a simbolo di un legame storico e sociale. Da carnefice, Janara diventa vittima psicologica: suscita commozione, brivido, riso, paura. Sarà il nobile a chiederle cosa può fare per lei. Il baciamano, appunto. Tutto questo nel corpo di un’unica attrice, Susy Leonida del Giudice che, seguitissima dall’intero pubblico entusiasta e commosso, accompagna tutti i presenti, con maestria, al successivo exploit scenico del finale.
A cura di Pino Attanasio