Napoli città della seta. Già nel ‘600 un logo con tre rocchetti ‘firmava’ tessuti preziosi che ieri raccontano la storia di una potente corporazione e di manifatture attive sin dall’alto medioevo: al Museo Archeologico di Napoli fino al 21 gennaio la ripercorre una mostra preziosa dal titolo “Napoli Città della Seta – La Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo dalle Fratrie greco-romane alla Corporazione dell’Arte della Seta” dedicato a un sito dei sedici
del circuito Extramann valorizzato con passione dalla Associazione Respiriamo Arte.
Per la prima volta, grazie al gemellaggio voluto dal
direttore dell’Archeologico Paolo Giulierini, parte di questo
patrimonio tessile è esposto al pubblico insieme ai reperti
archeologici conservati al Museo, ma ritrovati a fine ‘800
proprio al di sotto del Conservatorio e della Chiesa dell’Arte
della seta di Napoli, in via San Biagio dei Librai 118. Pochi
sanno infatti che Napoli fu un importante centro di produzione e
lavorazione della seta, settore trainante dell’economia del
regno dalla seconda metà del XVI fino al XVIII. Nel panorama
della manifattura serica, infatti, si ricordano quasi
esclusivamente le Seterie di San Leucio, del ‘700 quando
Ferdinando IV di Borbone decise di dare vita al suo sogno
utopico di una Real colonia chiamata Ferdinandopoli.
La storia della Corporazione ha inizio invece dalle prime
botteghe artigiane ebree nella zona di Largo Portanova, e poi
ufficialmente nell’anno 1477 quando Re Ferrante D’Aragona decide
di istituire con nuovo statuto e denominazione l’Arte che sarà
chiamata Consolato della Seta Una Corporazione molto potente
che si distinse da subito dalle altre vantando agevolazioni
fiscali e commerciali,un proprio governo, un proprio Tribunale
con annesse Carceri nella Piazza della Sellaria. Il ritrovamento
ottocentesco, di un piedistallo e una base di una statua
entrambe in marmo con epigrafi in greco, permette d’ipotizzare
che in loco in epoca greca era la sede dei Cretondi, una delle
Fratrie greco-romane in cui si suddividevano i cittadini di
Neapolis a partire dal 400 a.C. sul modello delle altre città
greche.
Le due pianete di colore verde esposte, una delle quali
corredate dello stemma della Corporazione dell’Arte della Seta,
fanno parte del fondo più antico. Tra i pezzi in mostra, la
pianeta rosa in stile bizarre del primo Settecento; la pianeta
blu, in damasco classico delle manifatture napoletane del
secondo Settecento, già legate alla produzione tardorococò,
prodotta negli stabilimenti tessili borbonici – Carminiello al
Mercato e Real Albergo dei Poveri, prima degli impianti serici
insediati a San Leucio. La pianeta rosa a bande verticali
sfumate verdi appartiene alla tarda produzione settecentesca.
La vetrina che ospita le due pianete e il velo omerale rosso
offre un esempio di elegante commistione tra tessuti e ricami,
in una profusione di filato d’oro e raffinati galloni. Il
piviale, in damasco color vinaccia è realizzato seguendo un
motivo decorativo caro alla tradizione tardobarocca.
Infine le borse, disposte ai piedi delle pianete, in damaschi e
lampassi, in teletta verde laminata in argento, in raso color
corallo.