“Chi di spada colpisce…”, sembra questa la morale sottesa alla proposta avanzata da Pier Luigi Bersani per la ricandidatura a presidente della Repubblica di Romano Prodi. Insomma, l’ex segretario del Pd che fu impallinato insieme a Prodi dalla carica dei 101 franchi tiratori ha voglia di rivincita, sia per le dimissioni che fu costretto a dare allora, ma soprattutto per marcare una presenza politica oggi nel monolitico partito renziano.
“Di spada perisce” il gruppo dirigente che pensa di andare per la propria strada ipotizzando un inquilino del Quirinale tutto frutto del “Patto del Nazareno”, senza tenere in nessun conto l’altro pezzo del Pd. E’ il ragionamento della minoranza dei democrat che propone l’ex presidente della Commissione Europea per “ricominciare” proprio dall’imboscata da lui subita a cui Matteo Renzi non fu estraneo. Un avvertimento, insomma, più che la difesa ad oltranza di Romano Prodi a capo dello Stato, che se Renzi non terrà nel dovuto conto nel segreto dell’urna ci saranno sorprese. Appunto, come avvenne due anni fa.
Sull’altra sponda del “Patto del Nazareno” nessun dubbio che Silvio Berlusconi non accetterà mai la candidatura del politico bolognese che riuscì a detronizzarlo da palazzo Chigi. Il vero ed unico candidato che il presidente di Forza Italia ha in testa è il suo “fido furiere” Gianni Letta. Ma Berlusconi nella partita della presidenza della Repubblica non potrà dimostrarsi morbido ed accondiscendente nei riguardi dell’”amico” Renzi. Raffaele Fitto con le sue truppe è pronto a marcare, sempre nel segreto dell’urna, il suo dissenso. La voglia dell’ex Cavaliere di tonare in gioco, scansando i veti della legge Severino votata anche dal suo partito, è grande. E’ però una debolezza che lo rende fragile e accondiscendente verso percorsi che gli fanno balenare il suo “ritorno in campo” da titolare. E questo i “giovani turchi” di Forza Italia non lo vogliono, né lo possono accettare. Sanno bene che Silvio, liberato dalla camicia di forza dell’incandidabilità, diventerebbe imbattibile, e soprattutto insostituibile, alla guida del “suo” partito.
Chi si trova in difficoltà, ma fa di tutto per buttar acqua sul fuoco, è Matteo Renzi. La scivolata sull’articolo 19 bis che depenalizza il reato di frode fiscale, stabilendo un tetto del 3% dell’evasione rispetto all’imponibile, è visto da molti come il patto segreto tra lui e Silvio. Un codicillo per permettere al leader di Forza Italia di risalire a pieno titolo sulla barca della politica, senza aspettare i sei anni previsti dalla legge Severino. E non bastano le perentorie affermazioni del capo del Governo su Berlusconi che “sconterà tutta la pena inflittagli dai tribunali”. Il problema non è quello perché il 15 febbraio l’ex presidente del Consiglio ritroverà la sua agibilità politica, ma è la legge che porta la firma della signora Severino, come Renzi sa molto bene. Il rimando al Consiglio dei ministri del decreto fiscale dopo la probabile elezione del nuovo inquilino del Quirinale non aiuta a fare chiarezza. Il leader di Forza Italia sa di non poter più contare su quella strada, come lo sa anche Renzi, se mai avesse ipotizzato una tale soluzione per Berlusconi.
Il 14 gennaio, alla scadenza appunto del semestre di presidenza italiano del parlamento europeo, Giorgio Napolitano dovrebbe dimettersi. I nomi che circolano sono tanti, dal citato Prodi, alla stessa Severino, all’attuale giudice costituzionale Amato, a Emma Bonino, a Mattarella, Pietro Grasso, Piero Fassino e via dicendo. Ma come dice il vecchio detto: “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale”. Certo è che gli attacchi terroristici in Francia e la situazione che si è venuta a determinare incideranno non poco sull’elezione del capo dello Stato, che tra le caratteristiche che dovrà possedere ci dovrà essere quella di una riconosciuta credibilità internazionale. Se così è la rosa di nomi si stringe di molto.
A cura di Elia Fiorillo