A cura di Teresa Lucianelli
Sono ancora tanti i reporter che perdono la vita, i giornalisti uccisi, oppressi, intimoriti, denunciati ingiustamente, offesi, calunniati. Il diritto/dovere all’informazione oggi più che mai ha costi gravosi, anche in Italia dove regna la precarietà a dispetto della falsa idea diffusa di una categoria privilegiata
Il 3 maggio ha rappresentato una data importante per il giornalismo planetario, con le celebrazioni per la 25esima edizione della Giornata internazionale dedicata alla Libertà di Stampa, cioè il World Press Freedom Day, patrocinato dall’Unesco.
Sono stati soprattutto ricordati i tanti reporter, spesso freelance, uccisi sempre più frequentemente in guerra o dai sicari dei dittatori al potere, è stato presentato l’ultimo rapporto dell’ Onu e promossa una campagna di sensibilizzazione alla quale hanno aderito alcune tra le maggiori testate internazionali.
“Leggi di più, ascolta di più, capisci di più”, un sollecito invito è stato rivolto a tutti i cittadini del mondo ad informarsi di più ed a farlo attraverso la garanzia del confronto delle notizie acquisite da più organi d’Informazione.
Libertà, pluralismo, indipendenza e sicurezza: queste le aree indagate dal rapporto dell’Unesco World Trends in Freedom of Expression, riguardante il quinquiennio 2012-2017.
Dati per nulla confortanti.
Professione sempre più difficile e rischiosa: 530 giornalisti ammazzati dal 2012 al 2016: 125 in Sudamerica, 191 in Nordafrica-Medio Oriente. Ed a rimetterci la vita nel 95% dei casi i giornalisti locali, più eclatanti ma numericamente ridotte, le morti di reporter stranieri.
Minacce – tante, troppe – e uccisioni: questo il prezzo che pagano i giornalisti nei Paesi in guerra. Ultime in ordine di tempo le vittime della recentissima strage in Afghanistan, in 9 erano accorsi sul luogo di un attentato per raccontare l’accaduto e lì sono stati trucidati.
Poi ci sono quelli giustiziati dalla mafia per avere osato interessarsi di alcuni dei tanti traffici illegali, droga in testa, massima fonte di guadagni per il crimine organizzato.
Le minacce e le restrizioni sono aumentate: 56 i casi di totale blocco di internet nel 2016, contro i 18 del 2015. Ancora, il rischio delle bolle informative, con l’espandersi delle piattaforme transnazionali a partire da Facebook.
Lievita pure la tendenza agli attacchi da parte dei governi populisti contro il giornalismo, con la fomentata sfiducia nella credibilità dei Media.
Si continua con i casi dei giornalisti in conflitto con il potere che combattono a favore della trasparenza e dell’onestà da parte dei governi e delle forze politiche. E non è esente la nostra Italia dove i rappresentanti dei Media si trovano sempre più additati – soprattutto da qualche politico di turno alla ricerca dei voti di protesta – e bollati come casta quando, nella stragrande maggioranza dei casi, gli operatori dell’informazione oggi sono tutt’altro che privilegiati.
I dati a riguardo parlano chiaro.
I giornalisti autonomi oggi rappresentano il 65,5% dei lavoratori, 33.188 contro 17.486 lavoratori dipendenti, una percentuale di precariato inaudita e assolutamente inimmaginabile se ci si riferisce a qualsiasi altro settore. 8 su 10 percepiscono meno di 10.000 euro l’anno: addirittura sono quindi al di sotto della soglia di povertà.
Il 52,6% non arriva ai 5.000 euro, il 34% drammaticamente lavora nientemeno gratis.
Basti pensare che le prime pensioni dei giornalisti autonomi erogate dall’ente di previdenza specifico ”Inpgi 2”, riservato ai lavori non dipendenti che sono sempre di più e di fatto sensibilmente meno tutelati, a stento arrivano ai 1000 euro all’anno, in molti casi soltanto a 500.
Uno scandalo del quale i lettori in genere non sono a conoscenza e non immaginano neppure. Anzi, sono portati a credere esattamente il contrario, più che mai di questi tempi in cui proprio i giornalisti vengono continuamente additati da chi, prendendo ad esempio una esigua minoranza di professionisti ben impiegati, fa deliberatamente di tutt’erba un fascio, fornendo una visione essenzialmente distorta e fuorviante al largo pubblico.
Ancora lontana pure la par condicio, il settore resta in mano agli uomini: per quanto riguarda le donne, soltanto 1 su 4 è ai vertici, e 1 su 3 tra i reporter, mentre 1 su 5 tra gli esperti intervistati.
Qualcosa di positivo: almeno, è in aumento l’accesso all’informazione: sempre più nazioni stanno adottando le leggi sulla libertà di stampa. Siamo passati dalle 90 del 2011, alle 112 nel 2016. In testa l’Asia zona Pacifico e l’Africa.
Svetta rapidamente la percentuale degli utenti che si servono di Internet con conseguente accesso alle informazioni online: quasi metà della popolazione mondiale, pari ben al 48% nel 2017.
“Tenere sotto controllo il potere: media, giustizia e legalità”: questo il tema presentato dall’Unesco ad Accra (Ghana). Due giorni di full immersion per gli addetti al settore provenienti dai vari paesi dei cinque continenti, a partire da Africa e Medio Oriente. Organizzati contemporaneamente in tutto il mondo eventi sul tema della libertà di stampa e di espressione nei quali si è dibattuto dell’importanza dei media nella trasparenza dei processi elettorali, del rapporto tra giustizia e informazione, della necessità di maggiore protezione, dei tanti rischi, della necessità di maggiori regolamentazioni, soprattutto per quello che concerne la Rete, dei casi che hanno visto i media impegnati – frequentemente con rischio anche per la propria tranquillità ed incolumità – ad esigere dai governanti una maggiore trasparenza ed il dovuto impegno a favore del proprio paese.
Vi hanno preso parte in oltre 700 tra giornalisti, testimoni oculari di realtà ad alto rischio, politici, accademici, giuristi, rappresentanti di organizzazioni non governative schierate a favore e a tutela della libertà di stampa. 18 sessioni parallele su temi nevralgici di grande attualità come le molestie sessuali contro le giornaliste, i protocolli di autodifesa e protezione dei dati digitali che dovrebbero essere conosciuti ed applicati dai giornalisti, la libertà d’espressione artistica e soprattutto la censura via internet.
È stato assegnato al fotogiornalista egiziano Mahmoud Abu Zeid, conosciuto come Shawkan, incarcerato dal regime di Al Sisi, il premio Guillermo Cano per la libertà di stampa.
Quello per cui si deve pure lottare, è la chiarezza della figura del giornalista nella nostra società condizionata da false informazioni a riguardo.
Per comprendere i tanti ostacoli, le avversità, i problemi anche gravi che un giornalista si trova ad affrontare oggi più che mai, è indispensabile comunicare in maniera diffusa e capillare ai lettori, agli spettatori, agli ascoltatori, qual’è la realtà odierna, offrire una esatta visione al posto dell’immaginario che la maggior parte della gente ha del giornalista quale professionista impegnato in un lavoro dipendente – tra l’altro ben stipendiato (?!) – inserito in una redazione, che viene inviato a spese della propria testata di appartenenza sul posto, in zona o all’estero, comunque dove si debba descrivere la realtà.
La gran parte dei giornalisti oggi è invece freelance, cioè non lavora in una redazione ma altrove: strada, casa, ecc, ed è autonomo, deve perciò occuparsi personalmente di tutte le spese che questa professione – appassionante ma sempre meno conveniente economicamente e sicuramente scomoda sotto molti punti di vista e spesso pure più o meno pericolosa – comunque comporta. Iniziando dal costo degli spostamenti. Inoltre, il giornalista ormai deve rispondere in prima persona di quel che scrive: non ha quindi più quelle mediazioni e tutele che garantivano gli operatori del settore fino ad alcuni anni fa. Soprattutto, è sicuramente più debole in caso di querela, che ormai è diventato molto facile ricevere a causa di una legge concepita in maniera a dir poco assurda, che è estremamente sbilanciata a favore di chi intenta la causa, di qualsiasi natura siano i fatti. Questo si rivela purtroppo come un autentico bavaglio nei fatti. Ma quanti lettori e radio/telespettatori ne sono a conoscenza? Pochissimi!
Basti pensare che se, ad esempio, uno dei soliti “pezzi da 90” – potente o ricco che sia – reputa che un articolo gli possa creare problemi o gli dà semplicemente fastidio, può querelare il giornalista anche per milioni di euro senza assolutamente alcuna conseguenza, come invece accade in tante altre nazioni, in presenza di una querela pretestuosa, ovvero non fondata, per la quale è giustamente previsto e soprattutto flutti un adeguato e dovuto risarcimento.
Tale situazione ha avuto ed ha ovviamente gravissime ripercussioni sulla professione perché espone a rischi altissimi chi ha “la pretesa” di diffondere la conoscenza dei fatti, ovvero esercita il diritto/dovere d’Informazione.
Il giornalista querelato deve rivolgersi necessariamente ad un avvocato, sostenendo in prima persona le inevitabili spese non indifferenti, e affrontando un procedimento non semplice, rischiando peraltro di perdere i pochi beni eventualmente posseduti, come la casa di proprietà, l’automobile, ecc ed ovviamente i guadagni, peraltro in genere alquanto scarsi.
In caso di vittoria, gli viene però dovuto unicamente il rimborso delle spese giudiziarie. Da non credere.
In Italia è attivo Ossigeno per l’informazione, un attento osservatorio sui cronisti che subiscono questo ed altro.
Va detto pure che i governi non hanno promosso leggi a tutela dei giornalisti, categoria ormai bistrattata e dove lo sfruttamento della forza lavoro è diventata agghiacciante. È stata anzi impoverita la forza di una stampa libera che era primario baluardo della nostra democrazia, a discapito dei diritti di ciascun cittadino e non soltanto della categoria dei professionisti dell’Informazione, perché un giornalista che non può svolgere adeguatamente la propria attività è una voce pubblica in meno a difesa della libertà di tutti.
Ma non finisce qui, assolutamente. C’è altro.
A mettere il giornalista “all’angolo” in Italia, vi è la povertà incombente che ha aggredito la maggior parte di coloro che appassionatamente esercitano questa professione. Il compenso, per i free lance soprattutto, è in genere bassissimo. Contratti atipici, spese considerevoli, partita Iva, eventuali risarcimenti per querele: rimane ben poco di che vivere, e così in molti si ritrovano sempre più frequentemente a dovere essere aiutati nei periodi di magra dalle famiglie, perfino in età matura e con un bagaglio considerevole di esperienza e di alte capacità. Si può facilmente comprendere quanto questo sia avvilente e poco dignitoso e metta il giornalista in una posizione di evidente subalternità nei confronti di tanti altri soggetti.
Al di là della crisi profonda che ha aggredito questo settore editoriale e che non permette ai giornali grandi margini di manovra, c’è una evidente carenza di tutele, una legislazione sul lavoro che consente di fatto ogni deregulation, la limitatezza d’azione dei sindacati intralciati nel loro operato dalle tante difficoltà nel difendere i tantissimi freelance per mancanza di leggi specifiche a loro tutela.
Un articolo oggi viene per lo più pagato dalle 6 alle 10 euro. 70 per quelli più complessi, è già tanto. E, attenzione: da questi vanno scalati i contributi, l’assistenza sanitaria, le tasse, eventualmente la formazione obbligatoria che non sempre è gratuita, e soprattutto la strumentazione che ha i suoi costi.
Anche se sul sito dell’Ordine dei Giornalisti è ben visibile una tabella che indica quale dovrebbero essere le cifre giuste e dignitose per un articolo o un video, sempre più frequentemente queste non vengono rispettate e così proprio i giornalisti – ovvero coloro che dovrebbero essere schierati, a prescindere, a favore del rispetto dei diritti incominciando dalla dignità umana e contro ogni forma di abuso e prepotenza, di fatto non hanno nemmeno un salario minimo, un compenso giusto e peraltro che dovrebbe essere dovuto.
Una categoria bistrattata nella maggior parte dei casi, fatta eccezione per i vertici degli occupati e per alcuni consulenti super pagati.
I dati sconfortanti rivelano una percentuale di precariato assolutamente inconcepibile in qualsiasi altro settore e impongono un’attenta riflessione, una presa di coscienza fa parte della categoria tutta ed urgenti provvedimenti.