di Elia Fiorillo
C’era una volta a Napoli “Giggino ‘a purpetta”, ovvero Luigi Cesaro ex presidente della provincia. Poi arrivò “Giggino a’ manetta”, Luigi De Magistris attuale sindaco. E, in fine, proprio in questi giorni si parla di “Giggino a’ putenza”, destinato a diventare “Giggino o’ presidente” . Si tratta di Luigi Di Maio vice presidente della Camera, neo candidato al ruolo di presidente del Consiglio dei ministri per i 5Stelle.
Giggino Di Maio di mestieri ne ha fatti tanti. E’ stato steward allo Stadio San Paolo, assistente tecnico in informatica, agente commerciale, cameriere, manovale edile, giornalista pubblicista e webmaster per poi approdare nel 2013 a Palazzo Montecitorio. Non si è fatto mancare niente in fatto di lavoro. E come si diceva una volta per l’America, le qualità vengono sempre premiate. Se vali puoi aspirare a raggiungere le più alte vette, anche del potere. Vuoi vedere che anche in Italia il “merito” è diventato importante?
Nel MoVimento di Beppe Grillo Luigi si è subito distinto per la sua pacatezza di stile democristiano, ma anche per la sua voglia di volare alto, nel senso di voler ricoprire cariche di primo piano. Già nel settembre 2016 il Beppe garante dal palco di un evento lo incorona, a modo suo, numero uno: “Maledetto, sei il leader”. E lui, Giggino, si comporta da futuro capo girando l’Italia in lungo e in largo. Non c’è evento a cui non partecipa. Abito blu, cravatta intonata, faccia da giovane trentenne smaliziato, non perde occasione per farsi riprendere sorridente dalle tivvù. Dall’Italia poi passa all’estero, allacciando rapporti internazionali. Da due anni convive con Silvia Virgulti, quarantenne, definita la zarina 5 Stelle, da “coach tv” dei grillini a fidanzata “suggeritrice” di Giggino. Lui dice di lei: ”Ho trovato finalmente una persona che condivide la mia passione e non se ne sente danneggiata: le mie due precedenti ragazze ‘importanti’ erano gelose, la politica per loro era un’amante”.
I maligni congetturano che la vera intelligenza di Di Maio è propria la sua fidanzata: “Lui è teleguidato con l’auricolare, come Ambra da Boncompagni”. Si sa però che “In politica, gli amici sono spesso più ingombranti degli avversari”, come sosteneva lo scrittore francese Charles Régismanset. E il vice presidente della Camera se la deve vedere proprio con gli “amici e compagni” del M5Stelle che lo vedono come “il grillino democristiano” o il “berluschino a 5 stelle”, pronto a fare tutto e di più pur di arrivare a capo assoluto dei grillini che trasformerebbe d’emblée in “dimaiani”.
Il malcontento serpeggia nei piani bassi 5Stelle. Non piace ai puri e duri quella nuova regola che agevola Di Maio e che prevede la candidabilità anche per gli inquisiti. Certo, non di reati gravi ma per quelli d’opinione o “di fatti commessi pubblicamente per motivi di particolare valore politico, morale o sociale”. Comunque, chi ha l’ultima parola per cacciare o assolvere è il garante, ovvero Beppe Grillo. Ma rimarrà garante Grillo? No, i nuovi dettami prevedono che chi sarà eletto a candidato premier diverrà anche il capo assoluto di tutta l’impresa. Grillo si farà da parte assumendo il ruolo di padre nobile. Non si è capito ancora Casaleggio cosa farà. Pare che continuerà a rivestire il delicato ruolo di “contabile”, determinante, delle votazioni via piattaforma Rousseau. Ma il fondatore, garante, padre nobile, o come lo si vuol chiamare, è utopistico che passi lo scettro del comando al candidato premier. Quando tutto girerà secondo il suo modo di pensare “nulla quaestio”. In caso però di distacco dalla matrice originaria, allora sarà un altro discorso.
Dopo l’annunciata candidatura della “meteorina” dal bel viso e dai contenuti zero, come definisce Berlusconi il vice presidente della Camera, si attendevano le mosse in particolare di Roberto Fico. Alessandro Di Battista, uno che poteva veramente competere con Di Maio, si era alleato da qualche tempo con lui. Si ipotizzava qualche insignificante candidatura di bandiera, troppo pericoloso per i big della minoranza scendere in campo. Nemmeno questo è avvenuto: meglio gridare che misurarsi con il voto. Le votazioni quantificano pericolosamente il contrasto, le grida no.
Si, proprio un’ascesa “inimmaginabile” come la definì Dario Fo quella di“Giggino a’ putenza”, unico ed assoluto candidato premier, che ha dimostrato in poco tempo di essere capace di salire dalle “stalle alle stelle”. E mica è da tutti!