A pochi giorni dal dietrofront del tabloid britannico The Sun, sono doverose alcune riflessioni: l’intera questione ha sollevato un polverone tale che lasciarlo dimenticato sarebbe ai limiti del ridicolo. Al centro della polemica vi è il grafico pubblicato lo scorso 11 luglio sul sito del giornale, con l’allarmante titolo “Mondo cattivo – Rivelate le città più pericolose al mondo”. Mostrava attraverso simboli e bollini colorati, le terribili problematiche che travagliano alcune città, scelte per regioni del globo, in una mappa decorata con allusive fiamme in trasparenza. Tra Caracas e Raqqa, per l’Europa dell’Ovest la reginetta è Napoli, che si aggiudica “droghe”, “omicidi” e “bande criminali”. A nulla è valso il sottotitolo in cui si ammetteva che sono molte altre le zone ritenute “pericolose”, “ma osservando più da vicino, anche l’Ovest rivela di avere i suoi problemi”: non si sono fatti attendere l’indignazione del sindaco de Magistris, il fiero orgoglio di una città che non accetta una simile sentenza, l’articolo di un altro giornale britannico, l’Independent, che difende a spada tratta la capitale del Sud Italia e, infine, l’hashtag #FakeNews sulla pagina Facebook ufficiale dell’Ambasciata Italiana di Londra che accusa The Sun di aver preso, forse, “un colpo di sole”. Il tabloid, dunque, non ha potuto far altro che alzare bandiera bianca e, il 21 luglio, rimuovere Napoli dal controverso grafico.
È indiscusso che il criterio utilizzato per stilare questa classifica sia scorretto, quasi insensato: scegliendo la città “peggiore” in ogni regione del globo, si accostano luoghi e società, culture e tenori di vita troppo diversi tra loro. Napoli non sarà mai paragonabile a Raqqa, città ormai rasa al suolo dai bombardamenti, da anni controllata dallo Stato Islamico.
Eppure, vogliamo davvero indignarci così tanto quando viene puntato il dito sui problemi che oggettivamente riguardano la nostra realtà? Sebbene sia stata abbinata in modo errato, sono i fatti di cronaca, i dati, la società stessa a non negare del tutto quanto le è stato imputato. Non si può soltanto decantare la bellezza della nostra terra, celebrare la bontà del cibo, attaccarsi alla tradizione millenaria della nostra cultura e, allo stesso tempo, chiudere gli occhi sui problemi del nostro presente. Una realtà non esclude l’altra: siamo la città che sta registrando uno straordinario incremento del turismo, ma dove la camorra continua a frenarne ogni altro sviluppo. Una parte della mentalità comune, ad esempio, si ostina a vedere in Roberto Saviano il principale nemico: colui che ha infangato Napoli, denunciandone i mali pur di ottenere fama e denaro. Eppure c’è un altro personaggio, oggi, che da simili segnalazioni ne è uscito sconfitto e, questa volta, non è “l’intellettuale” che il popolo sente da sé distante: il salumiere Ciro Scarciello, colui che ha denunciato l’omertà dilagante nella zona della Duchesca, teatro di una sparatoria avvenuta lo scorso gennaio nel corso della quale rimase ferita una bambina. A quasi sei mesi dall’accaduto è stato costretto, il 24 luglio, ad annunciare la prossima chiusura della sua attività commerciale e la decisione di andar via da Napoli. È la sconfitta di chi ha tentato di opporsi ad uno stato di cose che perdura, scontrandosi inevitabilmente contro chi si è arreso e ormai l’accetta passivamente. È disfatta, anche, per lo Stato e le diverse istituzioni a cui l’uomo si è rivolto. È ora di smetterla di illudersi che basta la bontà della pizza a risolvere i veri problemi della nostra città: il primo passo per farlo è, almeno, ammetterne l’esistenza.
Di Maria Nicolina Baldascino