Siete proprio certi di non poter vivere senza smartphone? Sono esattamente 2 anni che non ho il cellulare. Il 15 febbraio 2015 abbandonai il buon vecchio “mattoncino” Nokia per approdare al mondo smart. Probabilmente abituato ad un diverso tipo di robustezza, incredibilmente (data l’attenzione e la cura con cui tratto le mie cose) in sole due settimane ruppi, rendendoli inutilizzabili, gli schermi di due diversi iPhone, cedutimi rispettivamente da mia sorella e dalla mia fidanzata, che nel frattempo si aggiornavano e passavano agli ultimi modelli. Interpretandolo come segno del fato decisi che come ne avevo fatto a meno fino a quel momento, avrei potuto tranquillamente continuare a farne a meno. Ma stavolta non solo dello smartphone, ma più radicalmente del cellulare stesso. Due sole settimane di WhatsApp, Instagram, Snapchat ecc bastano a creare dipendenza, e non nascondo che i primi giorni di astinenza credevo sarei potuto impazzire.
Ma dopodiché, giorno dopo giorno, apprezzavo sempre di più la scelta che avevo fatto. Evito certi finti poetismi su quanto i tramonti, le albe, i concerti, le scopate, gli arcobaleni e tutto il cazzo che volete voi vadano vissuti e non fotografati e socialnetworkizzati, perchè non è questo il punto e la mia non vuole essere una critica. Certo non è bello vedere un gruppo di amici seduto al bar che non ha di cosa parlare e alza la testa dallo smartphone solo per chiedere il conto. Ma questa è un’altra storia. Sono Piergiorgio e oggi sono 2 anni che non ho il cellulare. E nel club smartphoniani anonimi si alzerebbe un boato (di approvazione o di disapprovazione che sia). Oggi sono 2 anni che quando rispondo di non avere il cellulare a qualcuno che mi chiede il numero assisto a diverse reazioni. C’è chi ride pensando io scherzi. C’è chi mi guarda come se avessi una clava in una mano e una banana nell’altra, come se fossi cioè l’anello mancante tra scimmia e uomo nella linea evoluzionistica della specie umana. C’è mi chi mi guarda come se fossi stupido e che se anche il telefono me lo sono dimenticato a casa il numero posso darglielo comunque.
Tutti e dico tutti quelli che scoprono di tale mia mancanza, difetto, sindrome, follia, o chiamatela come volete, io la chiamo libertà, (…….. vomitavo mentre la scrivevo sta frase ma gli amanti di Bisotti, Volo e Moccia apprezzeranno) sempre e dico sempre vogliono farmi accadere qualche disavventura a cui, secondo loro, solo avendo uno smartphone riuscirei a rimediare. Non dico di essere Bear Grills ma credo di riuscirmela a cavare anche da solo. Mi è capitato, ad esempio, di restare fermo con la macchina senza benzina, in una strada isolata, di un mercoledì qualsiasi, alle 4 di mattina. E certo un cellulare mi avrebbe potuto far svegliare qualcuno che, bestemmiando più di quanto non stessi bestemmiando io in quel momento, mi avrebbe potuto facilitare la situazione. Per strada non passava nessuno e quindi accostai la macchina il più possibile al marciapiede con le quattro frecce, mi incamminai verso la pompa di benzina più vicina, trovai per strada due bottiglie di plastica vuote (probabilmente quelle utilizzate dai lavavetri), le riempii fino all’orlo e tornai a casa. Alle prime luci del mattino, sporco, sudato e scomunicato dalla chiesa cattolica, ma tornai a casa. E quante volte mi sono presentato ad un appuntamento aspettando minuti o anche ore per poi venire a scoprire, una volta arresomi e tornato a casa, che era stato tutto disdetto e non c’era stato modo di avvertirmi. Magari, a volte, certo posso essermi pentito di questa mia scelta, ma la parte più difficile in realtà è quella in cui cerco di convincere i miei genitori, la mia fidanzata, gli amici e i conoscenti che mi trovo straordinariamente bene e che, almeno per il momento, non ho alcuna intenzione di tornare indietro.
“L’omm che po’ fa a mmen de l’aifone nun ten paur e nient” semicit.
A cura di Piergiorgio Petoia