Nel suo discorso ai dirigenti dell’Ordine dei giornalisti la sua visione di un mestiere che sta attraversando anni di crisi: una professione, dice il pontefice, “di grande importanza e di grande responsabilità”
Credo che non ci sia categoria più in difficoltà di quella del giornalista, in questo primo scorcio di secolo: aggredita dalle nuove tecnologie, devastata e impoverita da una crisi dell’editoria che dura da anni, soggetta ai tentativi di asservimento da parte della partitocrazia, spesso biasimata dall’opinione pubblica, sempre più a rischio nei focolai di guerra e in altri contesti (sono 110 i cronisti morti secondo l’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere), costretta a ripensarsi e a reinventarsi con l’avvento delle nuove tecnologie e dei social networks. Per questo il discorso di Francesco ai giornalisti del Consiglio Nazionale dell’Ordine si carica di significato e assume un spessore molto profondo per questa categoria.
Innanzitutto perché riconferma l’importanza di un difficile e complicato mestiere: “Ci sono poche professioni che hanno tanta influenza sulla società come quella del giornalismo”, spiega Francesco ai colleghi del Consiglio nazionale che lo ascoltano nella Sala Clementina del Vaticano. Ma il papa aggiunge immediatamente che a quest’importanza è legata una grande responsabilità. I giornalisti, dice il Papa, “restano una colonna portante, un elemento fondamentale per la vitalità di una società libera e pluralista”. Ecco il punto: non c’è giornalismo senza democrazia, perché la democrazia è libertà e la libertà è l’anticamera della verità. “Amare la verità vuol dire non solo affermare, ma vivere la verità, testimoniarla con il proprio lavoro”, spiega il pontefice argentino. Non si tratta di essere credente o non credente, aggiunge: “la questione qui è essere onesti con sé stessi e con gli altri”, poiché nessuna relazione “può reggersi e durare nel tempo se poggia sulla disonestà”.
Il secondo aspetto essenziale del Dna del giornalista è la sua professionalità. Potrebbe parere banale ma Francesco carica questo elemento di una dimensione profonda: la professionalità va vissuta, “interiorizzata” e dunque non sottomessa alle logiche degli interessi di parte, economici o politici che siano. Perché compito del giornalismo è “far crescere la dimensione sociale dell’uomo, favorire la costruzione di una vera cittadinanza”. Non a caso le dittature hanno sempre cercato di imporre regole alla professione. Ma nessuna professione autenticamente giornalistica potrà mai dimenticare la “dignità umana”: è importante in tutti i mestieri, ma in modo particolare nel giornalismo “perché anche dietro il semplice racconto di un avvenimento ci sono sentimenti, emozioni e in definitiva la vita delle persone”. La cronaca dovrebbe sempre rispettare la dignità delle persone, di fronte al potere, ai fatti della vita, ai fenomeni storici come le migrazioni: se non lo fa non è giornalismo.
Il discorso di Francesco si conclude con un auspicio: l’auspicio che il giornalista si renda sempre più uno “strumento di costruzione”, un “fattore di bene comune”, un “acceleratore di processi di riconciliazione”. L’invito del Papa è quello di respingere i tentativi di divisione, favorendo la cultura dell’incontro. La sfida più difficile: “Voi giornalisti potete ricordare ogni giorno a tutti che non c’è conflitto che non possa essere risolto da donne e uomini di buona volontà”.