Di Laura Caico
Una scossa alla coscienza civile. Nella gremitissima Sala Catasti dell’Archivio di Stato di Napoli dopo i saluti di benvenuto del direttore della struttura professoressa Candida Carrino – che ha raccontato brevemente la storia della sala del Capitolo del monastero dei Santi Severino e Sossio, degli affreschi ritrovati sotto le scaffalature lignee e del processo di restauro ancora in corso dei lacerti, con scene bibliche del pittore greco Belisario Corenzio, patrocinato dall’Unesco con il progetto “Centro antico della città di Napoli” – si è svolta la presentazione del libro del noto giornalista Luca Maurelli “Anatomia di un’ingiustizia” incentrato sul calvario giudiziario di Mario Landolfi già Ministro delle comunicazioni nel governo Berlusconi III: una vera ingiustizia processuale – che si è trascinata per 16 anni – conclusasi con una sentenza che l’autore definisce “sentenzina” e che rappresenta veramente una macchia disonorevole sulle procedure della giustizia italiana.
Ma – ma come lo stesso autore ha voluto precisare nella sua introduzione all’evento – quello di Mario Landolfi è solo uno dei tanti casi che si verificano in Italia e che comportano la distruzione di vite e carriere senza poi che le sentenze finali (che spessissimo annullano questi procedimenti) possano restituire veramente qualcosa all’imputato, specialmente dopo tanti anni di gogna mediatica. Al tavolo dei relatori di questo incontro – moderato brillantemente dal vice-Capo redattore del Mattino Leandro Del Gaudio – i magistrati Arcibaldo Miller e Giuseppe Cioffi, l’avv. Nicolas Balzano presidente della Camera Penale di Torre Annunziata (che ha tenuto una brillante requisitoria, infiammando gli animi dei tanti intervenuti che non hanno lesinato applausi calorosi alle argomentazioni più avvincenti anche degli altri conversatori), l’on. Mario Landolfi protagonista della vicenda in esame e l’on. Amedeo Laboccetta, presidente di “Polo Sud”, deus ex machina dell’incontro e organizzatore di molti eventi di grande risonanza mediatica, che ha dichiarato “La nostra iniziativa risponde a una duplice ragione poiché il libro di Maurelli analizza il rapporto tra politica e toghe partendo dalla concretezza del processo contro l’ex-ministro delle Comunicazioni e poi perché “Anatomia di un’ingiustizia” cade nel momento di maggior tensione tra istituzioni politiche e magistratura, il cui culmine si è registrato proprio a Napoli con le clamorose contestazioni delle toghe al ministro Nordio in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario”.
Come l’autore stesso ha dichiarato, in Italia ci sono molte cose che non funzionano e tra queste meritano una profonda riflessione i meccanismi processuali della giustizia che comportano dei danni enormi – e talvolta irrimediabili – ai personaggi coinvolti perché anche gli esiti positivi di questi lunghi processi non possono mai restituire veramente agli accusati la loro dignità, il reintegro nella stima pubblica e il recupero delle innumerevoli cose perse (compresi gli incarichi di prestigio che avrebbero potuto assolvere nel lunghissimo periodo di durata dei processi): ma – come ha ribadito Maurelli – questo è un fatto di antica data, come attestano molte vicende consimili, scritti di eminenti giurisperiti e testi di famosi letterati. Amleto non si sbagliava nell’elencare una serie di problematiche – tuttora irrisolte e valide anche per i nostri tempi – tra cui le sette peggiori offese che potessero capitare alle persone perbene: infatti, oltre alle “sferzate e agli insulti del mondo, l’ingiustizia dell’oppressore, la contumelia dell’uomo orgoglioso, l’arroganza di chi è investito di una carica, gli spasimi dell’amore disprezzato e gli scherni che il paziente merito riceve dagli indegni” c’è proprio “l’indugio delle leggi” e ciò che si verifica in tanti processi italiani – come questo a Mario Landolfi – dimostra che, dopotutto, il marcio non era solo in Danimarca…..
Nelle dotte argomentazioni dei vari relatori appare evidente come l’ingiustizia sia un problema legato a doppio filo al suo alter ego – la giustizia stessa – e che questo interessante, ben costruito e ancor meglio documentato testo ponga, con forte impatto sulle coscienze civili, il pressante interrogativo sulla categoria morale che ha cavalcato ogni tempo, ovvero l’ingiustizia assurta a sistema, modello e ispirazione di coscienze deviate dall’Essere e concentrate sull’Avere –- proiettate esclusivamente sul dominio delle collettività: alcuni di essi hanno fatto riferimento a come – in tante epoche – sia stata elevata a codice comportamentale la sopraffazione del più debole, darwiniamente sacrificabile, vittima predestinata delle prepotenze ammantate di legalità, propagate da Soloni della giurisprudenza, mascherate da articoli di legge, imposte con solenni decreti, veicolate da diffamatorie campagne mediatiche, come nel caso di Landolfi.
Da che mondo è Mondo l’uomo è sempre stato avversario degli altri (quando non di se stesso) e quindi l’assioma “ homo homini lupus” – visceralmente sotteso alle millenarie vicende dell’umanità – ha dato vita a profluvi di prevaricazioni, perpetrate in nome di un ideale, di una fede, di un credo politico o religioso, di una folle visione dell’esistenza, di una bandiera spesso insanguinata dietro alla quale correre, immolare e persino crocifiggere l’avversario di turno per sopraffarlo con abusi e soprusi.
I relatori, pertanto, hanno più volte evidenziato come l’ingiustizia possa divenire pilastro di tante società, Stati, paesi, governi, strutture sociali che imprigionano e soffocano la compassione, l’accoglienza, la sensibilità e l’amorevolezza dentro il grigio carcere dell’egoismo, dell’’aridità spirituale, della smania di potere: l’uomo contemporaneo manipolato dai governi, dal sistema consumistico, da organi deviati di un’informazione subdola e non veritiera – lungi dall’essere protagonista di un nuovo umanesimo – viene oppresso, compresso, represso e soppresso dagli affilati ingranaggi della macchina burocratica che assecondano questo modello dominante e non risparmiano neanche un briciolo del principio dell’inviolabilità personale, della dignità intrinseca degli individui, ridotti a numeri e non considerati più persone ma soggetti da umiliare e ridurre al silenzio sotto la pesante cappa del biasimo sociale. Di quante prepotenze – legittimate dal potere dominante – sia traboccante la storia del mondo potrebbe dirlo, forse, solo un poderoso condensato culturale (grande almeno quanto l’enciclopedia Treccani, nella sua lunga e maestosa prolificità di innumerevoli e massicci volumi) per arrivare a contenerne un riassunto sia pur minimo. Il libro di Maurelli, invece, sintetizza efficacemente il labirinto processuale, esistenziale e mentale in cui si perde l’imputato, stretto nella morsa della macchina togata e non più padrone della propria vita, del lavoro, dell’evoluzione morale che lo contraddistingueva: ecco, quindi, il succedersi, l’accavallarsi e l’accanirsi di iter legislativi infiniti, di pentiti che trattano sconti di pena e ritrattano confessioni, di gogne politiche, di assalti mediatici, un sistema di sciacallaggio “che tiene in ostaggio la politica e che la stessa politica utilizza per consumare le sue vendette” sono il pane avvelenato che una persona perbene come Mario Landolfi ha dovuto trangugiare per tanti, troppi, amarissimi anni. Prigioniero incolpevole di una pubblicità negativa, costretto ad “un ergastolo a vita da consumare in libertà grazie alla ‘sentenzina’ piccola ma indelebile, bruciante, sulla pelle di qualcuno che non considera l’illibatezza morale un dettaglio mistico”, oggi può a testa alta guardare i suoi accusatori e dimostrare al mondo come il tritacarne della malagiustizia – senza pagare alcuno scotto – possa colpire al cuore ciascuno di noi